Le elezioni del 1946 in Valsesia

Giovanni Franchi

articolo pubblicato ne “l’impegno”, a. VI, n. 4, dicembre 1986

 

Il panorama politico della vigilia

Nel 1946 anche la Valsesia entra da protagonista nella nuova fase storica e politica, nel corso della quale l’Italia cerca e costruisce non solo una nuova via, ma anche un intero nuovo assetto istituzionale: cessata
la lotta di liberazione, cessati i combattimenti, superati i primi mesi convulsi di amministrazione e governo d’emergenza, si trattava di ricostituire un tessuto politico e istituzionale del tutto rinnovato rispetto al passato, che non poteva limitarsi a chiudere il ciclo fascista, ma che doveva essere diverso anche dall’Italia prefascista.

Il passaggio dell’amministrazione militare alleata e dei Cln alle prime forme di Governo nazionale, la creazione di un nuovo assetto amministrativo locale e di un nuovo organismo politico di “rifondazione” (la Costituente), la grande scelta tra il vecchio ordinamento monarchico e la nuova prospettiva repubblicana: ecco alcune delle tappe vissute nel giro dei primi mesi di quell’anno, che aprivano un nuovo capitolo anche nella storia della valle, duramente provata dal conflitto mondiale e dall’epopea della Resistenza: un capitolo che veniva sancito in particolare negli appuntamenti elettorali per le elezioni amministrative, per la Costituente e per il Referendum istituzionale.

Oggi, a quarant’anni di distanza, non si impone solo una generica “celebrazione” di quegli avvenimenti, ma è anzi interessante osservare gli sviluppi della situazione politica di quel periodo, ed è per questo che al centro di questa nota sono soprattutto le risposte date nella valle alle scadenze elettorali. Una breve ricerca come questa non può certo esaurire ogni analisi[1]: si cercherà piuttosto di tratteggiare la situazione di allora, di individuare i temi da approfondire, riservando particolare attenzione ai due maggiori centri valsesiani: Borgosesia e Varallo. La ricerca si fonda prevalentemente sulle fonti della stampa locale, e necessariamente, per questo, rifletterà anche le carenze informative che sono proprie di queste fonti (soprattutto in quella fase, fortemente tesa ai grandi temi anche ideologici).

Dai resoconti della stampa locale, il quadro politico e sociale valsesiano si presentava comunque in tutte le sue articolazioni, e si coglie lo sforzo dei diversi fogli nel “presentare”, nell’illustrare anche didatticamente i nuovi schieramenti e le nuove opzioni politiche che si offrono alla popolazione. Il confronto politico è serrato, ma non manca anche chi offre il proprio spazio a posizioni diverse.

Da una analisi forzatamente incompleta delle fonti a stampa[2], si coglie subito un quadro politico molto semplificato: a fronte delle decine di liste presenti nella lizza elettorale in campo nazionale (fenomeno tipico in ogni fase di riorganizzazione politica), nella realtà valsesiana (come in diverse altre realtà locali) i raggruppamenti che saranno protagonisti della battaglia elettorale sono praticamente solo quattro, e sono tutti espressione delle fondamentali forze politiche: la Democrazia cristiana, il Partito comunista, il Partito socialista (Psiup) ed il Partito liberale. C’è poi da registrare la presenza di diverse liste “civiche” minori, specie nei centri più piccoli, ma anch’esse si ritrovano sostanzialmente nel quadro delle linee proposte dalle maggiori forze politiche organizzate, in particolare di orientamento moderato.

Naturalmente la situazione e le caratteristiche dei quattro maggiori partiti sono molto diverse dalla situazione odierna, e perciò è opportuno qualche appunto al riguardo. La Democrazia cristiana, anche come partito nazionale, è ancora di fatto nella fase di costruzione: creata appena tre anni prima, “eredita” parte del patrimonio che era stato del Partito popolare, ma deve cercare anche un nuovo ruolo e una nuova collocazione, e si rivolge al mondo cattolico con l’aperto sostegno delle gerarchie ecclesiastiche. Il messaggio politico democristiano è il derivato di questa storicamente necessaria scelta di aggregazione confessionalista e pre-politica, e risente di tutta l’esigenza (difensiva) di arginare l’ “onda socialcomunista” che si presenta in modo nuovo e prorompente sulla scena politica. Sul subito, insomma, il messaggio Dc riesce a fatica a delineare un proprio progetto positivo. In modo ancor più evidente, queste difficoltà, questo essere ancora una realtà politica in fieri, si vede nella scarsa consistenza di una autonoma organizzazione politica: la Dc poggia ancora tutta la sua organizzazione su quella della Chiesa.

Diversa la situazione del Partito liberale: una entità politica che si rifà alla tradizione liberale prefascista e che si ritrova fortemente ridimensionata dall’ “ingresso delle masse sulla scena politica”. Il programma liberale, centrato sui problemi e sulle prospettive dell’economia, assume come interlocutori privilegiati i dirigenti industriali e la borghesia laica. Dato il notevole sviluppo industriale, soprattutto nel settore tessile, in alcuni centri della zona, si può chiaramente notare come l’importanza del raggruppamento liberale non possa essere certo sminuita. A questo proposito, anche il controllo del “Corriere Valsesiano” da parte di questa forza politica ci consente di misurare la potenzialità e il retroterra del Pli.

Anche nel Partito socialista è forte il richiamo alle tradizioni politiche e di lotta del movimento operaio cresciuto nella fase prefascista, e sono proprio queste profonde radici che consentiranno al Psiup di raccogliere un numero di consensi inferiore solo a quello della Democrazia cristiana.. D’altra parte anche il Psiup si trova del tutto impegnato ad affrontare una situazione politico-sociale completamente nuova: a questa deve iniziare a dare risposte, costrettovi anche dalla esigenza di svolgere un ruolo non subordinato all’interno della coalizione social-comunista.

Certamente più organizzato di tutti è il Partito comunista: la sua organizzazione aveva saputo reggere alla prova della clandestinità, e nella guerra partigiana era riuscito più degli altri a potenziarsi con l’apporto delle nuove leve entrate nella lotta antifascista. La sua struttura fortemente accentrata (e anzi, quasi “militarizzata” dalla clandestinità prima e dalla Resistenza poi) ne faceva un insieme compatto, internamente senza particolari contrasti. Il messaggio politico comunista, fondato sulla scelta classista, non poteva rivolgersi con la stessa facilità a tutte le componenti sociali. Dai vari articoli che illustrano il programma del partito emergono a tutto tondo due elementi: anzitutto che al quadro dirigente preme presentare il Pci come il primo garante della democrazia appena conquistata con la lotta di liberazione e che, cioè, c’è bisogno di contrastare l’accusa di coltivare ipotesi rivoluzionarie ed eversive della situazione appena creatasi; si manifesta poi la chiara scelta di rivolgersi ai lavoratori come interlocutori privilegiati, per farne i protagonisti della nuova vita politica.

Anche solo dai brevi appunti svolti sopra è ben chiaro che le masse entrano prepotentemente in scena anche nella vita politica della Valsesia, ed anche l’allargamento del voto alle donne (scelta vissuta come “normale” conseguenza del nuovo assetto dell’Italia democratica), quindi anche l’effettiva estensione del suffragio universale, consente alla politica di entrare sempre più nella dimensione della vita reale, caricandola di nuovi significati ed arricchendola del massimo contributo possibile di partecipazione popolare.

Una zona come la Valsesia, duramente provata dalla guerra, che le ha inferto molti e pesanti drammi umani, e in cui la lotta per la riconquista della libertà aveva raggiunto vertici di valore da parte della popolazione, vive così la nuova realtà politica nel modo più attivo, consapevole di aver lottato per il cambiamento, ed intenta anche ad istituzionalizzare i primi passi di questo cambiamento: per questo, a maggior ragione, “le masse” si impongono come nuovo soggetto politico, ed anche partiti tradizionalmente elitari come quello liberale devono misurarsi con questa realtà[3].

A questo proposito può essere utile almeno accennare al problema politico rappresentato, per i partiti, dalla novità del voto femminile. Tra i vari partiti è soprattutto quello comunista che decide di affrontare pubblicamente l’argomento, cercando di sottolineare l’importanza di questo voto con vari comizi specifici, cui partecipano come relatori anche esponenti molto importanti del partito (come Camilla Ravera, per citare un esempio). La formidabile potenzialità del voto femminile viene così avvertita dai comunisti, oltre che per altre esigenze elettorali, per sensibilizzare le donne alla importanza dell’avvenimento elettorale, per alimentare una maggiore presa di coscienza democratica. Si trattava, tra l’altro, di un riconoscimento obbligato
alle molte donne che avevano combattuto e partecipato alla guerra nelle file dei volontari della libertà, ma anche di contrastare quella che da subito appariva come la forte capacità di egemonia sulla componente femminile da parte della gerarchia ecclesiastica, e quindi, elettoralmente, della Dc e degli orientamenti moderati.

Per concludere questo breve panorama politico occorre ancora un cenno alle forze sindacali, che in Valsesia si erano presto ricostituite nei centri industriali. L’attività sindacale era quindi ripresa a ritmo sostenuto, e le iniziative si moltiplicavano, confermando il sindacato come uno dei nuovi soggetti politici e sociali della valle. Ad esempio, in un articolo del 30 marzo pubblicato su “Valsesia Libera”[4], nell’imminenza dell’appuntamento elettorale amministrativo del giorno dopo a Varallo, tutta l’attenzione è incentrata
proprio sul voto femminile. È ovviamente un articolo propagandistico, tuttavia è assai utile per vedere come “l’appello alle donne operaie” lasci trapelare la piena consapevolezza della centrale importanza numerica e, quindi, politica, delle scelte che sarebbero state compiute dalle donne. Lo slogan secondo cui “il Popolo deve andare al Comune, ed il Comune al Popolo” si presta alla riflessione che invita le donne ad essere consapevoli della loro appartenenza alla “massa”, e della loro condizione di “massa nella massa”. L’articolo è, insomma, uno dei tanti tentativi di far passare un’esortazione di uscita dell’inerzia politica: esortazione che nasce dalla consapevolezza di come proprio la donna abbia sempre subito una pesante emarginazione, aggravata dal fascismo.

Le elezioni amministrative: composizione delle liste ed analisi dei risultati del voto

Per quanto riguarda le elezioni comunali, primo appuntamento elettorale della sequenza tenuta nel 1946, per semplicità e per la carenza di documentazioni soddisfacenti, ci occuperemo in particolare dei due più importanti centri della valle, Varallo Sesia e Borgosesia, iniziando dal primo.

La data fissata a Varallo per chiamare gli elettori alle urne è il 31 marzo, e le liste che si presentano alla scelta popolare sono solo due: il cosiddetto blocco liberal-democristiano, e l’Unione democratica dei lavoratori, espressa dall’altro blocco, quello social-comunista.

Le informazioni raccolte dalla stampa locale ci consentono di analizzare la composizione delle liste dei candidati di entrambi gli schieramenti, e la prima osservazione riguarda il come si sia riusciti a conciliare l’esigenza di rivolgersi all’ambito sociale più vasto possibile, inserendo nelle liste le più diverse personalità rappresentative della realtà cittadina.

Nella lista del raggruppamento Dc-Pli sono presenti cinque democristiani, quattro liberali e sette indipendenti. Tra i candidati non è presente nessuna donna, e le professioni sono così ripartite: due avvocati ed un “dottore in legge”, un ingegnere, due industriali, due operai, un tipografo, quattro artigiani, due impiegati ed un assistente tessile. Come si vede, molto rappresentato è il ceto medio, al quale innanzitutto si rivolge il raggruppamento moderato, mentre appaiono ben saldi i legami con il mondo industriale, anche a livello dirigenziale.

Per ciò che riguarda l’Unione democratica dei lavoratori, i socialisti presenti sono quattro, cinque i comunisti e, anche qui, sette gli indipendenti. Tra i candidati c’è una sola donna, mentre, dal punto di vista professionale e sociale, sono presenti: un elettricista, un artigiano, un meccanico, un architetto, un avvocato, un muratore, un caporeparto tessile, un operaio, tre agricoltori, tre impiegati e due maestri. I social-comunisti hanno dunque cercato di esprimere il maggior ventaglio sociale possibile, in un messaggio politico che non vuole essere unicamente classista, ma che anzi punta alla più ampia rappresentanza sociale.

La battaglia propagandistica di entrambi gli schieramenti abbraccia una grande quantità di temi: dal confronto più generalmente ideologico alla discussione sul potenziamento della assistenza medica, agli interventi comunali per migliorare il sistema scolastico. Non mancano neppure i primi scontri sulla tutela del patrimonio artistico[5], o le promesse di tutela delle aspirazioni autonomistiche degli ex comuni ora aggregati a Varallo.

Circa il valore dei candidati, i liberal-democristiani sottolineano la presenza in lista di personalità di primo piano del mondo politico e industriale locale, mentre i social-comunisti fanno leva sulle caratteristiche di uomini che hanno avuto un ruolo importante nella guerra partigiana (un nome per tutti: quello di Pietro Rastelli, comandante della brigata “Musati”, e sindaco insediato dal Cln).

A Varallo la vittoria, netta, va alla lista liberal-democristiana: partecipa al voto una alta percentuale di elettori (83,3 per cento), ed i voti di lista si suddividono così: 2.608 al blocco moderato, 1.590 a quello social-comunista. Con le modifiche apportate dai voti di preferenza individuale il divario non si riduce, e perciò la Giunta unitaria nominata alla Liberazione dal Cln passa le consegne alla nuova maggioranza, prima espressione della libera (e davvero “universale”) volontà dei varallesi.

Anche nel caso di Borgosesia ci si deve limitare ai sommi capi del quadro della situazione, anche per una particolare difficoltà nel reperire documentazione adeguata: ci è per esempio impossibile analizzare la composizione delle liste dal punto di vista professionale, dato che i dati reperiti non forniscono queste indicazioni.

A Borgosesia, tuttavia, il numero delle liste raddoppia rispetto alla semplificata situazione di Varallo; qui infatti le liste sono quattro, poiché, ognuno con la propria identità, si presentano autonomamente la Dc, il Pci, il Psiup e gli indipendenti di orientamento moderato e liberale. Ma non cambia di molto la partecipazione attiva delle donne: in lista le candidate sono solo tre, due comuniste ed una democristiana.

L’elettorato dà la maggioranza relativa alla lista democristiana, che, per effetto del sistema maggioritario, entra così in blocco in Consiglio comunale; al secondo posto i socialisti, che, quindi, con sei loro esponenti, rappresentano la minoranza in aula. Alla sinistra sfugge così anche l’affermazione nell’importante centro industriale, ed anche questo fatto si ripercuoterà in tutto il dibattito politico successivo. Anche a Borgosesia, l’amministrazione provvisoria insediata dal Cln passa le consegne alla nuova maggioranza uscita dalle urne, ed anche qui un comunista (Pietro Vigna) passa le consegne ad un esponente democristiano (Alfredo Pignatta).

Negli altri scenari della valle la situazione, al termine della tornata amministrativa, si presenta così: venti sono i comuni in cui si affermano liste di ispirazione democristiana o moderata, soltanto cinque quelli in cui la maggioranza è social-comunista. La sinistra si afferma in alcuni centri di media entità cioè nei centri più tipicamente industrializzati, come Quarona e Serravalle, mentre le forze moderate (intendendo soprattutto la Dc) affermano la propria presenza nei due centri maggiori e, in particolare, nel gran numero di piccoli comuni montani: la Valsesia disegna così questa sua nuova mappa politica e sociale, “moderatamente uniforme”, all’interno della quale spiccano alcune “cittadelle rosse”.

Le elezioni politiche

Il secondo appuntamento elettorale che attende la Valsesia è quello più direttamente politico per l’elezione dei membri dell’Assemblea Costituente, ed infatti, finita la prima tornata amministrativa di marzo, la campagna elettorale riprende con tutta la sua intensità.

Democristiani, socialisti, comunisti e liberali si mobilitano per incrementare i suffragi che già li avevano visti emergere come i quattro partiti rappresentativi del complesso dello schieramento politico valsesiano. Moltissime sono le iniziative propagandistiche che si succedono, ed anche molto importanti le personalità politiche del momento che qui tengono i loro comizi: Einaudi, Brosio, Moscatelli, per citarne alcuni.

Tutta la stampa locale dà lo spazio più ampio al confronto pre-elettorale. I liberali, dalle colonne del “Corriere Valsesiano” sottolineano il cuore della loro posizione: la necessità di individuare una via democratico-liberale per l’instaurazione di “uno Stato democratico nel quale siano garantite le libertà individuali, politiche e civili; ove l’iniziativa individuale sia libera, siano aperti gli scambi internazionali e sia garantita la libertà dal bisogno”[6]. La polemica con Dc e sinistre non è risparmiata: della prima si mette in evidenza l’inconsistenza al di fuori dell’ambito confessionale; del programma comunista si denunciano i profondi legami ideologici con l’Urss, soprattutto in materia di riforme economiche; in una parola: è ben colta l’importanza della posta in gioco in questa fase di ricostituzione in forma nuova dello Stato democratico, e non a caso fin dalle prime righe del pezzo citato emerge chiaramente la preoccupazione liberale: la Costituente “non è un’assemblea legislativa il cui operato possa essere modificato da una successiva legislatura, ma un’assemblea che
detterà una nuova Costituzione, cioè la legge fondamentale dello Stato.

Su “La Stella Alpina”[7] si esprimono invece le posizioni della sinistra, ed in particolare degli uomini che furono tra i protagonisti della guerra partigiana. Si avverte quasi, leggendo alcuni articoli, una sensazione di grande attesa, e quasi di trepidazione, per l’evento elettorale in cui finalmente il popolo potrà “esprimere liberamente la propria volontà”. Le aspirazioni di gran parte dei partigiani corrispondono ai programmi lanciati dalla sinistra, e in tanti articoli ed espressioni, democrazia, repubblica e riforma sociale vengono
a formare un trinomio fondamentale, che si spera “possa essere finalmente attuato”. “La Stella Alpina” esorta chiaramente a sostenere i partiti di sinistra, che furono i più impegnati direttamente nel movimento partigiano, ma la battaglia polemica nei confronti della “reazione clericale” da parte delle “forze popolari” non è particolarmente marcata; ci sono, naturalmente, aspetti polemici, ma di scarsa incidenza nel complesso del dibattito elettorale: è chiaro che c’è il tentativo di ridurre una eccessiva tensione, che certo non favorirebbe le sinistre, le quali possono sperare in un recupero quanto più si giungerà al voto “con calma, con dignità, con efficacia”.

Quanto al risultato, pare quasi che si dia per scontata l’affermazione delle “forze popolari”, e c’è l’intenzione di dimostrare nei fatti che i movimenti di sinistra ed i partigiani aspirano alla democrazia, non ad un modello di stato socialista. In un articolo appena precedente a quello prima citato, è proprio Pietro Secchia[8] che traccia un quadro delle vicende riguardanti la definizione della legge elettorale, ed indica come, una volta trovato un accordo tra i partiti nonostante le manovre della “reazione”, il cammino comune verso repubblica e Costituente non possa non essere sgombro da ostacoli insuperabili.

Qualche spunto interessante viene dall’osservare anche alcune posizioni espresse dal movimento dell’Uomo qualunque, che usufruiva di una rubrica sul “Corriere Valsesiano”[9]. In particolare in un articolo di
carattere programmatico generale, l’Uq propone il suo disegno per le prospettive italiane: lo Stato dovrà essere uno “Stato amministrativo”, non aperto ai “professionisti della politica” e genericamente al servizio del Paese. L’Uq non sa tuttavia offrire un insieme di prospettive, derivanti da un punto di partenza positivamente ideologico, in grado di dare contenuti maggiori a una proposta così vaga. C’è quindi a conferma della pochezza ideologica, la celebrazione di un “dilettantismo” politico che è persino difficile individuare.

Un’analisi approfondita delle posizioni democristiane, per quanto necessaria, è purtroppo impossibile a causa della lacuna citata riguardo alle fonti, ma questo pur breve ed incompleto sguardo al dibattito ed ai programmi politici già ci permette di concludere con una considerazione circa l’entità del dibattito, che raggiunse veramente livelli di grande intensità, e che rese la popolazione completamente coinvolta in quella grande fase di consultazione. Non a caso anche la partecipazione al voto di giugno sale ancora rispetto al precedente appuntamento amministrativo: a Varallo, per esempio, la percentuale cresce di quasi il 7 per cento. Tuttavia, i risultati di questa nuova tornata elettorale, abbinata alla consultazione referendaria sul nuovo assetto
istituzionale (che esamineremo più avanti), confermano sostanzialmente le tendenze emerse alle amministrative di marzo: ancora una volta il primato relativo va alla Dc, seguita, nell’ordine, da Psiup, Pci e Pli. Ecco in dettaglio i risultati a Varallo e Borgosesia (valori percentuali)[10]:

 

Varallo Borgosesia
Democrazia cristiana 42,3 32,5
Partito socialista 27,2 36,3
Partito liberale 10,6 5,1
Partito comunista 9,8 16,1

 

In entrambi i casi c’è un relativo incremento delle sinistre: più leggero a Varallo, dove la situazione rispecchia sostanzialmente quella delle amministrative, e maggiore invece a Borgosesia, dove il Psiup riesce a diventare il primo partito. Ma a parte la “novità” di Borgosesia, il quadro negli altri centri della valle non muta, come per esempio a Serravalle e Quarona, due delle poche “cittadelle rosse” (valori percentuali)[11]:

 

Serravalle Quarona
Partito socialista 37,7 28,2
Partito comunista 27,3 38,5
Democrazia cristiana 25,3 21,1
Partito liberale 1,1 2,5

 

Poiché, come detto, il quadro degli altri comuni minori resta sostanzialmente invariato, con una ampia affermazione Dc, ecco come si presenta il risultato complessivo nella valle (valori percentuali)[12]:

 

Valsesia
Democrazia cristiana 34,9
Partito socialista 31,0
Partito comunista 15,2
Partito liberale 7,0

 

L’espressione politica complessiva nasce dunque da due situazioni sostanzialmente diverse, con il risultato che, alla fine, tra il numero di piccoli comuni “bianchi” e le poche “cittadelle rosse”, i due blocchi si equilibrano: 46,2 per cento ai due grandi partiti della sinistra (tra i quali emerge la superiorità del Psiup), 41,9 per cento all’insieme Dc-Pli (costituito però sostanzialmente dal partito democristiano).

Il referendum istituzionale: monarchia o repubblica?

L’altra grande scelta che si presenta agli elettori, contestualmente alle elezioni della Costituente, è il referendum istituzionale. Le posizioni dei vari raggruppamenti politici a questo proposito sono chiare: fermamente schierate per la repubblica le sinistre (oltre a repubblicani, azionisti e altre componenti minori presenti in campo nazionale); Dc e liberali, pur non dichiarandosi formalmente neutrali (al Congresso democristiano l’orientamento prevalente era stato quello repubblicano), anche per disinnescare il pericolo di uno scontro in un momento così delicato, lasciano ufficialmente libertà di voto agli elettori: in realtà, come si vedrà dai risultati (ed in particolare per l’apporto delle gerarchie ecclesiastiche) nei fatti operano a favore della scelta monarchica, vista come un contrappeso alla equazione repubblica-spinta a sinistra.

In un articolo su “La Stella Alpina” del 12 febbraio ’46, intitolato Abbasso la monarchia è riassunto il punto di vista dei partigiani nei confronti dell’istituzione monarchica, giudicata tanto imbelle quanto irresponsabile, alla luce dei fatti passati, ed indegna di continuare a rappresentare e reggere le sorti del Paese. Ancora in un altro articolo del 2 giugno, sempre su “La Stella Alpina”, intitolato No!, si ribadiscono queste posizioni, e con una chiara dimensione della posizione della sinistra alla vigilia ormai dell’appuntamento decisivo.
Qui si esprime la speranza che “i lavoratori, quando avranno da una Repubblica Democratica la possibilità di essere praticamente e integralmente uomini liberi, saranno la migliore garanzia a salvaguardia della pace e della libertà”, poiché l’istituzione monarchica è in se stessa fomentatrice di tensioni tra le varie classi sociali: tensioni che potrebbero degenerare anche in un conflitto.

I risultati del referendum confermano il tipo di dualismo che si era già visto con il voto amministrativo e politico: nell’alta valle il primato va alla monarchia, nei centri della bassa valle è invece la repubblica che riesce a prevalere; il dualismo è, grosso modo, tra i comuni montani e i comuni più industrializzati. Il risultato globale, in Valsesia vede la repubblica prevalere con circa il 54 per cento dei voti, ma grazie all’apporto determinante dei risultati consistenti di Borgosesia (58,5 per cento), Quarona (72,5 percento) e Serravalle (72,7 per cento): da questi centri esce un vantaggio repubblicano di circa 3.500 voti che permette di riequilibrare la situazione determinatasi in Varallo (dove la monarchia vince con il 56,7 per cento dei voti) e negli altri paesi della valle, dove il successo monarchico è anche maggiore (tra i rimanenti ventitré comuni, la monarchia si impone in diciassette, la repubblica solo in sei).

In questo senso la situazione valsesiana condensa su scala minore tutte le tensioni e le spinte presenti in modo così acceso nell’Italia del dopoguerra: la sintesi migliore e storicamente più matura, la scelta repubblicana, riesce a prevalere con il margine sufficientemente necessario per concretizzarsi, ma è una sintesi che nasce da una situazione ancora nettamente dualistica, difficile, critica, espressione di gradi profondamente ineguali di sviluppo, così vistosi, ad esempio, nel divario tra Nord e Sud d’Italia.

Conclusioni

Le impressioni e le considerazioni successive al confronto elettorale, naturalmente, rialimentano il dibattito politico ed il confronto sulle prospettive del Paese.

I liberali, ad esempio, non negano la loro insoddisfazione per i modesti risultati conseguiti, che ridimensionano quello che era stato il loro ruolo storico. Il “Corriere Valsesiano” del 14 giugno così riassume la delusione: “Pur essendosi nettamente assicurate il quarto posto, le tendenze liberali non hanno indubbiamente ottenuto quei suffragi che i loro sostenitori si ripromettevano”. E c’è un primo tentativo di capire le cause di questa debolezza: “Troppe adesioni sono loro mancate per l’incertezza del programma istituzionale, e molte altre sono state attratte da programmi apparentemente più energici ed espressivi”[13]. Tuttavia l’articolista ammette che l’ambiente in cui si è svolta la consultazione non ha visto una tensione eccessiva, e perciò finisce col riconoscere all’elettorato una “maturità politica”, che per alcuni aspetti lo sorprende, tenuto conto di come gli elettori hanno saputo tenersi a distanza da posizioni “estreme”.

La posizione delle forze di sinistra emerge bene in un articolo su “La Stella Alpina”, dove è chiara la soddisfazione per il positivo esito complessivo del referendum[14]. Ancor prima che la sottolineatura del risultato di questo o quel partito, dall’analisi delle impressioni pubblicate sui fogli di sinistra emerge tutta l’importanza data al successo globale delle sinistre nella consultazione istituzionale.

Dai diversi punti di vista dei partiti, insomma, innanzitutto emerge quasi una conclusione comune: questo appuntamento elettorale, pur non rispettando tutte le diverse previsioni o aspettative della vigilia, ha posto basi accettabili per la costruzione del futuro della valle e dell’intera nazione. Con in più la particolare soddisfazione di democristiani e comunisti nel vedere l’elezione di due loro candidati alla Costituente: Giulio Pastore e Cino Moscatelli.

Ma, passata anche la prima fase di commenti immediati, smorzatasi l’eco delle polemiche pre-elettorali, subentra in generale uno stato d’animo di rasserenamento, quasi di calma, quasi un tacito accordo a volgere l’attenzione ai gravi problemi che ora, riassestato il nuovo assetto istituzionale, bisogna affrontare.
Per esempio, il “Corriere Valsesiano”, con un commento dal significativo titolo di Serena certezza, con toni fiduciosi e smorzati, fa esplicitamente appello ad una collaborazione tra tutte le forze sociali, esortando a “non inasprire le divisioni, ma a sanarle in vista del superiore interesse della Nazione”[15].

Alle divisioni del primo serrato e intenso confronto elettorale si accompagna insomma una volontà, un impegno comune per superare le immense difficoltà di un’Italia ancora in ginocchio. C’è questa esigenza, vitale per tutti, e da tutti i fogli valsesiani a questa esigenza si risponde che anche la Valsesia saprà fare la sua parte nel costruire una nuova società fondata sui valori della libertà e della democrazia.


Note

[1] Un vivo ringraziamento a Marco Reis per i preziosi suggerimenti.

[2] Le fonti consultate sono prevalentemente i giornali del tempo: “Valsesia Libera”, “Corriere Valsesiano” e “La Stella Alpina”. Non è stato possibile reperire nessuna copia de “Il Monte Rosa” del periodo considerato e, pertanto, l’analisi è forzatamente incompleta.

[3] Vedasi al proposito l’articolo di Mario Becchi, <Il liberalismo come partito di massa, in “Corriere Valsesiano”, 31 maggio 1946.

[4] Le elezioni e le donne, in “Corriere Valsesiano”, 30 marzo 1946.

[5] ⇑ La polemica riguardante la tutela del Sacro Monte è condotta da “Valsesia Libera” in tre articoli apparsi il 28 febbraio, il 15 ed il 30 marzo 1946.

[6] Cfr. Caro amico, in “Corriere Valsesiano”, 17 maggio 1946, a firma del Partito liberale.

[7] Cfr. Partigiani, in “La Stella Alpina”, 24 febbraio 1946, a firma della segreteria del comando provinciale dell’Anpi di Novara.

[8] Cfr. Rifare gli italiani, in “La Stella Alpina”, 19 marzo 1946.

[9] Per le informazioni relative al movimento Uomo qualunque si veda la rubrica “L’angolo del Torchietto”, in “CorriereValsesiano”, 16 maggio e 20 giugno 1946.

[10] Sono riportate le percentuali relative ai quattro schieramenti principali, con esclusione degli schieramenti minori, locali e non, che raggiungono complessivamente il 10,1% dei voti a Varallo e il 10% a Borgosesia.

[11] Gli schieramenti minori ottengono complessivamente l’8,6% dei voti a Serravalle e il 9,7% a Quarona.

[12] Gli schieramenti minori ottengono complessivamente l’11,9% dei voti.

[13] Cfr. Impressioni elettorali, in “Corriere Valsesiano”, 14 giugno 1946.

[14] Cfr. La repubblica degli italiani, in “La Stella Alpina”, 9 giugno 1946.

[15] In “Corriere Valsesiano”, 20 giugno 1946.

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