La Resistenza di Elda Cavigiolo

Sandra Ranghino

articolo pubblicato ne “l’impegno”, a. XXXIX, n. s., n. 2, dicembre 2019

 

Elda Cavigiolo ci ha lasciati il 6 dicembre scorso. La sua lunga vita si è intrecciata con l’antifascismo, la Resistenza, l’impegno civile e democratico nella storia repubblicana. La ricordiamo attraverso un testo di Sandra Ranghino dedicato alla prima parte della sua biografia.

La Resistenza di Elda è storia di Resistenza al femminile, che mantiene il carattere della discrezione anche nel ricordo. Elda è sempre stata schiva nel parlarne, pur avendo molto da dire. Figlia di un mutilato di guerra e di una mondina, viene alla luce a Vercelli nel 1925. A quattro anni, in seguito alla nascita della sorella Angela, è affidata alla nonna e alla zia che vivono a Caresana, paese agricolo della bassa vercellese dove frequenta i primi anni della scuola elementare. Ritorna dai genitori l’anno in cui frequenta la quinta classe. A casa di Elda i giornali non entrano, non c’è informazione, si parla per lo più del quotidiano e, come nella gran parte delle famiglie italiane, c’è un’accettazione acritica del fascismo. Elda ha le sue prime esperienze lavorative a quattordici anni. Viene assunta alla Châtillon, dove lavora per un tempo breve come operaia e poi come commessa allo spaccio per i dipendenti. Lavora di giorno e per migliorarsi di sera frequenta la scuola. Il padre, di tanto in tanto, nel tempo libero la porta al cinema, qualche volta le viene consentito di andare a ballare con le amiche e al suo ritorno trova immancabilmente la madre ad attenderla in strada. In quegli anni conosce un gruppo di studenti che parlano di musica americana e in particolare del jazz, bersaglio della censura fascista.

Il 10 giugno 1940 dal balcone di Palazzo Venezia Mussolini annuncia l’ingresso del paese in guerra, con l’attacco a Francia e Gran Bretagna. Nella casa di Elda di questo non si parla, se non per il richiamo di uno zio quarantenne che viene mandato a combattere in Jugoslavia.

Con la guerra Vercelli cambia volto: le vie e le piazze appaiono semibuie, le finestre e le porte oscurate. L’esuberanza giovanile male si adatta a questa austerità: Elda durante il coprifuoco, mentre canticchia in strada con le amiche, è rimbrottata da una pattuglia in perlustrazione. Poiché prontamente controbatte, viene portata in questura e rischia di finire in carcere. Questa volta non ci sono conseguenze, ma poco tempo dopo sarà ammonita per un altro episodio di giovanile e incosciente irriverenza. Mentre assiste con le amiche ai pomposi funerali di un alto dirigente della questura, è sorpresa a ridere sulla circostanza del decesso. In città si mormorava che il defunto fosse morto “in braccio alla volpe”, espressione popolare per definire la morte di un uomo nel corso di un amplesso amoroso. In seguito all’ammonizione sarà licenziata dallo spaccio della Châtillon dove lavorava.

Il licenziamento rafforza nella giovane Elda la motivazione a studiare stenodattilografia, nella speranza di un posto di lavoro magari migliore di quello che ha perso.

In questura ci finisce ancora una volta nel corso di altre esequie solenni, questa volta di un milite. Nei pressi del corteo funebre alcuni fascisti stanno redarguendo in malo modo una donna incinta, colpevole di non avere fatto il saluto romano al passaggio del feretro. Elda ne prende le difese e viene portata nuovamente in questura. Ora la ritengono un’antifascista, pertanto la mettono alle strette: deve scegliere tra il lavoro in Germania e il lavoro al Centro Costi­tuzione Grandi Unità di Vercelli. Elda sceglie ciò che le sembra il male minore e inizia il lavoro presso il Centro. Ben presto viene seccamente ripresa dal comandante perché la mattina, all’ingresso, non fa il saluto romano alla bandiera del Corpo. Lei si giustifica, dice che nessuno l’ha messa al corrente di quest’obbligo. Il comandante sbotta: «Ma questa non è un’antifascista, questa è un’oca!».

Elda per questo suo lavoro coatto si sente fortemente a disagio. Il Centro non riscuote molte simpatie tra la gente e lei teme l’eventualità di essere vista su un camion che in caso di allarme porterebbe fuori città l’intero personale. Venuto a conoscenza di questo suo stato d’animo, Giuseppe Rosso, un suo vicino di casa, conosciuto in città come il Pinot Rus, le consiglia di farsi visitare dal capitano medico e di riferirgli che da un po’ di tempo accusa una condizione di malessere per una tosse e una leggera febbre persistenti. Il capitano la visita e certifica la necessità di sospenderla dal servizio per una sospetta tubercolosi.

Elda si sta avviando all’antifascismo con una certa incoscienza, ma indubbiamente per un innato rifiuto del sopruso.

Nel 1941 è disoccupata e ancora una volta è il Pinot, rosso di cognome e di idee, a darle una mano. Le offre un’occupazione di dattilografa. Elda accetta e si trova così a lavorare per l’organizzazione comunista clandestina, che lotta contro il regime La dotano di una macchina da scrivere e di un ciclostile per allestire a domicilio un centro stampa. La prudenza suggerisce poi agli organizzatori di trasferire il ciclostile al rione Isola, poiché nel caso di una perquisizione sarebbe stato difficile nasconderlo o giustificarne l’uso in quella abitazione.

Elda lavora in casa, a due passi dalla sede della Gioventù italiana del Littorio e dalla Casa del fascio. Il rione è un andirivieni di fascisti e quel continuo ticchettio della macchina da scrivere potrebbe insospettire qualcuno e indurlo a sporgere denuncia. Per questo la madre è sempre attenta a scrutare chi si aggira nei paraggi. Elda lavora spesso di sera, copia testi, e una volta le capita uno scritto di Togliatti che è tentata di correggere. Di Togliatti le resta in mente un’affermazione: rivoluzionario non è colui che grida e urla più forte, ma colui che cerca di risolvere i problemi che la storia gli mette di fronte. Si trova anche a portare volantini nelle buche delle lettere; sono volantini contro la guerra di Hitler e di Mussolini o che riproducono articoli dell’edizione clandestina de “L’Unità”.

Dopo l’annuncio dell’armistizio, il 10 settembre arrivano in città i tedeschi e successivamente le milizie fasciste. I tedeschi installano un forte presidio militare. Il comandante emana un manifesto con ordini che sconvolgono la vita cittadina. Uno è diretto a dirigenti e operai della Châtillon, ai quali si impone di produrre di più per le esigenze belliche della Germania.

Nella caserma Trombone, di fronte all’attuale piazza Camana, si insedia il battaglione “Tagliamento”. Tedeschi e fa­­scisti, armi in pugno, danno inizio al­la caccia al nemico. Scattano le perquisizioni, i cittadini nelle strade e nelle piazze della città vengono terrorizzati, minacciati, arrestati.

Si organizza la resistenza militare. Pietro Camana, vercellese dell’Isola, con un pugno di giovani sale sulla Serra e inizia la guerra partigiana. Per i vercellesi diventerà il mitico “Primula”. Cino Moscatelli in Valsesia e Francesco Moranino nel Biellese orientale hanno già costituito i primi distaccamenti. La reazione fascista è feroce: i militi del­ battaglione “Tagliamento” si lasciano dietro una interminabile scia di sangue lungo la traiettoria Borgosesia, Valle Mosso, Cossato e Biella. I nazifascisti ter­rorizzano anche la popolazione del basso Vercellese con perquisizioni, rastrellamenti e arresti.

A giugno del ’44 la svolta. La conqui­sta di Roma da parte degli Alleati e l’apertura del secondo fronte in Francia pro­vocano la partenza di buona parte delle forze tedesche per la Normandia e dei fascisti per la Linea gotica. Il battaglione “Tagliamento” sgombera in fretta e furia i presidi di Borgosesia e della Valsessera, per rafforzare i presidi di Vercelli e di Biella, indeboliti dal trasferimento di truppe tedesche e fasciste.

I partigiani scendono dai monti e occupano stabilmente vaste zone del Biellese orientale e della Valsesia, mentre a centinaia i giovani del Vercellese e del Biellese vanno in montagna, in Valsesia con Moscatelli, a Postua con “Gemisto”, sulla Serra con la 182a brigata di Primula. I rapporti di forza sembrano capovolgersi.

Intanto Elda continua a dattilografare, sommersa dalle carte che si accumulano sul tavolo. Nel rione Isola il ciclostile lavora a pieno ritmo.

All’occorrenza l’organizzazione affida alla giovane servizi che esulano dal suo lavoro di dattilografa. Una volta la mandano a consegnare del materiale a Guido Sola Titetto, ospite in una casa segreta in città. L’uomo ha vissuto undici anni di carcere duro per la sua militanza antifascista clandestina ed è tornato libero nel 1938 per le sue precarie condizioni di salute. Sola Titetto, che vive ancora in clandestinità ed è un uomo chiave della Resistenza, le si presenta girato di spalle, con un cappello in testa. Non si volta e le dice di lasciare lì il materiale. Elda saluta ed esce, mentre Sola commenta: «E l’organizzazione si fida di una ragazzetta?».

A metà luglio si tiene la conferenza dei comunisti vercellesi. Sola Titetto, nella sua relazione, dopo avere rilevato come i grandi cambiamenti in atto permettano un ulteriore rafforzamento del fronte della Resistenza, sulla linea della svolta di Salerno di Togliatti fissa in tre punti i compiti del partito: riorganizzazione e sviluppo della struttura organizzativa e lot­ta contro l’attesismo, per un partito nuo­vo operaio e di massa; sviluppo delle lotte di massa; necessità di operare per un fronte unico di tutte le opposizioni contro il regime della guerra con Hitler e per l’immediata destituzione di Mussolini.

La conferenza si chiude con la sua designazione a segretario della rinata Federazione comunista vercellese.

Di fronte al cumulo di lavoro che l’attende, Elda non ha tempo di soffermarsi sui documenti della conferenza; lo farà anni dopo, quando avrà raggiunto un gra­do di formazione politica più alto.

Intanto i nazifascisti perpetrano i loro crimini. A Roasio il 9 agosto le Ss germaniche, sostenute dai militi fascisti, compiono una crudele rappresaglia per vendicare la morte di due loro sottufficiali colpiti dai partigiani in uno scontro. Uccidono ventidue persone: fucilano undici cittadini scelti a caso, impiccano ai balconi del municipio cinque ostaggi prelevati a Biella e ai pali della linea elettrica lungo la strada altri sei giovani.

La spietatezza delle Ss germaniche e delle milizie fasciste suscita indignazione nella gente. I comunisti diffondono migliaia di volantini per informare. Il Cln vercellese leva il suo grido: «Basta! Basta con le rappresaglie criminali di tedeschi e fascisti, basta con la precettazione forzata di operai spediti in Germania, basta con l’occupante tedesco a casa nostra, basta con la sbirraglia fascista che lo appoggia!».

Elda e i compagni intensificano la diffusione di volantini nei rioni del centro e nella periferia.

I rastrellamenti delle Ss germaniche e dei fascisti sono sempre più frequenti: entrano nei cortili, salgono nelle case, perquisiscono meticolosamente ogni va­no alla ricerca di oppositori e a ogni indizio arrestano e incarcerano.

L’organizzazione consiglia a Elda di mettersi per un po’ al sicuro. La giovane si presenta dalla zia a Caresana e le chiede ospitalità; l’accompagna l’ex direttore dello spaccio della Châtillon, la cui casa è stata recentemente perquisita e che si è salvato dall’arresto grazie a uno stratagemma premeditato: un libro con i discorsi di Mussolini lasciato aperto sul comodino e che ha fatto esclamare ai fascisti: «Macché antifascista, questo è dei nostri!». La zia però non può ospitare a lungo Elda, non sa dove metterla a dormire, inoltre c’è penuria di viveri. Il soggiorno a Caresana non si protrae più di tanto e Elda torna a casa.

Intanto i comunisti vercellesi, dopo la conferenza, stanno organizzando le strutture di base della Federazione. Nelle fabbriche tessono la rete delle cellule di reparto per aumentare il numero degli iscritti, sul territorio istituiscono nuove sezioni di partito, nell’apparato della Federazione creano organismi di discussione e commissioni. Promuovono anche comitati di agitazione per la contrattazione di salari e condizioni di lavoro. Un po’ ovunque si attivano movimenti di resistenza dei cittadini, una nuova forma di lotta entro il territorio, d’intesa con i partigiani della montagna e sotto la guida del Comitato di liberazione nazionale della provincia.

In occasione del Natale parte una raccolta di indumenti destinati ai partigiani di Primula. È un’iniziativa delle donne, alcune partecipi dei movimenti di resistenza, altre solo mamme. Nelle case non ci sono che indumenti usati, spesso rattoppati, ma per i ribelli della Serra va bene tutto: maglie e calze rammendate, vecchi scarponi che si prestino ancora all’uso. Elda si dà da fare nel suo rione. Nella notte un compagno parte per la Serra con un cavallo e un carretto pieno di sacchi.

Il 20 febbraio del 1945 forti raggruppamenti di Ss germaniche e di fascisti occupano i punti nevralgici della città e piazzano mitragliatrici ai crocicchi. Il transito è sospeso, ai cittadini si ordina di restare in casa. La notizia di un rastrellamento si sparge rapidamente, i giovani si nascondono nei luoghi più impensati, gli aderenti ai vari movimenti di liberazione nascondono armi, documenti e si eclissano; per la gente rastrellamento è sinonimo di cattura, deportazione e fucilazione. Armi in pugno, i tedeschi perquisiscono ogni stabile, ogni alloggio, alla ricerca di oppositori e di disertori; colonne di uomini non più giovani sono avviate alla periferia della città, dirette in campi di concentramento improvvisati. Il bottino dell’operazione è però assai magro: le armi e i documenti rinvenuti sono pochi. Carte di identità alla mano, gli uomini più anziani vengono mandati a casa; sono rilasciati anche i giovani; di questi, ben pochi seguiranno le truppe di occupazione, i più andranno in montagna per unirsi ai partigiani.

Intanto in città e in provincia i movimenti di resistenza, che si sentono ormai parte del movimento di liberazione nazionale, preparano lo sciopero generale: sarà la spallata finale, l’insurrezione di tutto il popolo. I primi a mobilitarsi sono i comunisti, che Sola Titetto chiama a un impegno straordinario nelle fabbriche, tra i ferrovieri e i postelegrafonici, nelle aziende pubbliche e nelle campagne. Allo sciopero generale sono contrari i socialisti, che temono rappresaglie conseguenti; favorevole è invece una parte della Democrazia cristiana.

Le donne sono sempre più protagoniste: le iscritte ai Gruppi di difesa della donna, impegnate nel sostegno ai partigiani in montagna; le donne chiamate a sostituire nelle fabbriche, nelle campagne e nelle banche gli uomini in guerra; le casalinghe alle prese con i problemi quotidiani di sussistenza.

Si impegnano i giovani comunisti del Fronte della Gioventù, quelli che fanno capo al Partito d’azione, i liberali e i giovani democristiani. Bisogna portare alla lotta quelli prossimi al servizio di leva e i cosiddetti “disertori o renitenti”, bisogna organizzare azioni di disarmo dei repubblichini.

Più che mai attive sono le Sap, che a un posto di blocco con poche armi fanno sei prigionieri e recuperano mitra e bombe a mano.

Nel Cln provinciale le vecchie posizioni attesiste sono ormai superate e si intensificano le azioni di propaganda e di sostegno alle formazioni partigiane.

Elda continua il suo lavoro al centro stampa, che non riesce più a rispondere alle crescenti esigenze dei movimenti di resistenza. Per fortuna si può contare sull’aiuto di un tipografo di Trino che, tra un lavoro e l’altro, stampa in segreto manifesti che giovani audaci affiggono di notte sui muri della città. Elda intanto continua a porre volantini sotto le porte delle case e nelle buche delle lettere.

Si preparano i giorni dell’aprile. Dopo l’offensiva scatenata sull’Appennino, il 9 e il 10 aprile gli Alleati dilagano nella pianura padana. Il generale Clark invita i partigiani a restare in montagna.

Questi avvenimenti e l’andamento della guerra sui fronti orientale e occidentale spingono le grandi città del Nord, To­rino, Milano, Genova e Firenze, ad ac­­celerare la preparazione dello sciopero ge­nerale.

Proprio il 10 aprile il Partito comunista lancia l’appello «ad ogni costo l’insurrezione popolare!» e invita alla mobilitazione tutte le organizzazioni del partito e le formazioni partigiane garibaldine, con l’indicazione di respingere ogni proposta di limitare la partecipazione popolare all’insurrezione e di attendere l’avanzata degli Alleati. I Cln regionali e provinciali sono invitati dal Clnai ad accelerare i preparativi per l’insurrezione.

A Torino il 18 aprile viene proclamato lo sciopero generale, che coinvolge l’intera città: dagli operai nelle fabbriche agli impiegati pubblici e privati, ai tramvieri, ai commercianti, ai postelegrafonici. Di lì a poco insorgono anche Biella, Novara e Vercelli. Gli Alleati non plaudono allo sciopero generale e all’insurrezione popolare, i loro piani vanno in un’altra direzione: le città non devono essere liberate dalle popolazioni, ma dagli angloamericani, i soli capaci di battere militarmente i nazifascisti.

Il 23 aprile l’organizzazione comunista clandestina chiede a Elda di compiere una missione a Torino. Elda prende il treno e al suo arrivo consegna del materiale che le è stato affidato a una persona sconosciuta che l’attende. Per l’interruzione della linea ferroviaria Milano-Torino è però costretta a tornare a Vercelli su un camioncino di fortuna, sul quale con altra gente sale un soldato repubblichino sbandato e fuori di sé, che in preda al terrore imbraccia minacciosamente il fucile per difendersi da un’eventuale imboscata partigiana.

L’indomani a Vercelli e nella provincia, senza alcuna proclamazione, prende il via lo sciopero generale insurrezionale nelle fabbriche, nelle campagne, negli uffici pubblici e privati, tra i ferrovieri e i negozianti. Alla Châtillon l’astensione dal lavoro è pressoché totale. Il prefetto­ Morsero irrompe nello stabilimento con venti militi fascisti, minacciando di arrestare chi non riprende subito il lavoro, ma nessuno si muove. Non potendo procedere a centinaia di arresti, Morsero si limita a uno: individuato come uno dei dirigenti comunisti che guidano lo sciopero, viene prelevato quel Giuseppe Rosso vicino di casa di Elda, che l’ha introdotta nella Resistenza,

Intanto, sotto l’egida del Cln, continua la lotta dei volontari delle Sap che disarmano i fascisti in fuga e assaltano i posti di blocco. Anche i giovani del Fron­te­ della Gioventù sono impegnati nella lotta.

Il 25 aprile i due presidi militari delle Ss e dei fascisti in città sono ancora molto forti. Per il Comando partigiano che presiede alla liberazione della città lo scontro frontale va evitato perché comporterebbe un bagno di sangue. Si prendono quindi contatti con il comandante del presidio tedesco, che ha già deciso di lasciare la città per unirsi alle truppe in ritirata verso Milano e l’Austria.

Morsero, abbandonato dall’alleato tedesco, fa sapere che a certe condizioni è disponibile a lasciare la città con le sue milizie. Il Comando di piazza e i coman­danti partigiani rispondono con un ordine preciso: lasciare Vercelli entro le ore 17 del 26 aprile. E alle 17 del 26 aprile una lunga fila di autocarri della Colonna Morsero, con a bordo circa duemila persone, in prevalenza ufficiali e soldati di battaglioni della Repubblica sociale italiana, oltre a qualche persona coinvolta con il fascismo repubblicano e qualche famiglia con donne e bambini, lascia la città passando dal ponte sul Sesia. Morsero sarà successivamente ricondotto a Vercelli per essere giustiziato.

Le sirene degli stabilimenti annunciano l’ingresso in città dei partigiani, affiancati dal movimento di resistenza dei cittadini che per venti lunghi mesi, d’intesa con loro, ha lottato contro l’occupazione nazifascista. Alle 18 del 26 aprile Vercelli è libera. La città è in tripudio e acclama i combattenti per la libertà. Il Cln nomina sindaco di Vercelli Guido Sola Titetto, che tanta parte ha avuto nell’affermazione dei movimenti di resistenza dei cittadini, ai quali anche la giovane Elda ha dato un prezioso contributo

Elda dopo la Liberazione sarà sempre restia a parlare della sua Resistenza, trincerandosi dietro a queste poche parole: «Ma sì, erano cose che abbiamo fatto perché bisognava farle!».

Alla vigilia di Natale del ’46 Elda sposa Guido Sola Titetto. Dalla loro unione nasce Franca.

Elda segue il marito nei suoi spostamenti dovuti all’attività politica, prima a Biella e poi a Roma. Nella capitale viene a contatto con ambienti intellettuali, dove passano personalità di cultura anche straniere di fede comunista, fino alla morte di Sola nel luglio del 1957.

Vedova, con una bambina di dieci anni affidata alle cure amorevoli dei nonni, Elda, che ora ha una solida formazione politica, viene inviata dal Partito comunista a svolgere la sua attività prima a Benevento e poi a Cassino, dove ritrova un giovane funzionario biellese, Argante Bocchio, che con il nome di battaglia di “Massimo” è stato comandante partigiano e, negli anni del dopoguerra, caratterizzati da una certa politica antipartigiana, ha vissuto esule nei paesi dell’Est. Massimo, prima dell’esilio, aveva lavorato con lei nella Federazione comunista vercellese e al suo rientro in Italia si erano rivisti di sfuggita in un’assemblea commemorativa della figura di Sola Titetto. Dopo l’incontro di Cassino e la loro frequentazione negli ambienti di partito, Elda e Massimo diventeranno compagni di vita e si stabiliranno definitivamente a Novara, dove proseguiranno nella loro militanza.

 

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