Gladys Motta (a cura di)
articolo pubblicato ne “l’impegno”, a. II, n. 4, dicembre 1982
La sala della Pro Loco di Borgosesia, gremita fino al limite della capienza, ha testimoniato, sabato 30 ottobre, quanto vivo sia il ricordo legato alla figura di Cino Moscatelli, ad un anno dalla scomparsa.
L’Istituto, nell’organizzare la serata commemorativa, ha inteso da un lato onorare la memoria di Cino Moscatelli, dall’altro lato avviare, attraverso la partecipazione di due grandi esponenti della vita culturale e politica italiana, il prof. Guido Quazza e l’on. Gian Carlo Pajetta, un progetto di ricerca storica approfondita sulla vita di uno fra i più significativi personaggi della storia democratica del nostro Paese.
Era presente, nella coscienza di coloro che divisero con Moscatelli gli ultimi anni di attività, la consapevolezza di come la grandezza della sua figura, la profonda popolarità di cui è stata oggetto, ne avessero in qualche modo sfumato, pur trasponendolo nella leggenda, lo spessore storico, politico, umano.
Sarebbe stato certamente possibile limitarsi a parlare di Moscatelli grande comandante partigiano, di ciò che ne fece, a ragione, un mito della Resistenza, ma sarebbe stato altrettanto possibile parlare di Moscatelli antifascista clandestino, di Moscatelli senatore della Repubblica, di Moscatelli presidente di un Istituto di ricerca storica, di Moscatelli “maestro” e tante cose ancora. Egli fu però tutte queste cose insieme e, al di là delle inevitabili esigenze di linguaggio e della scansione temporale, dividere la sua vita in parti, sottolineandone poi la più luminosa o nota, è una scelta che non avremmo mai fatto perché riduttiva.
Ricordandolo si è voluto quindi rendere omaggio ad uno dei più prestigiosi e intelligenti capi partigiani, ma si è soprattutto voluto ripercorrere il filo rosso che ha segnato la sua intera vita: la coerenza, la maturazione continua, la scelta di vivere ogni giorno fino in fondo, soprattutto la scelta di andare incontro alla vita.
È ciò che lo fa vivere ancora e non soltanto perché per molti fu un caro amico o il simbolo della scelta democratica, ma perché, uomo, fa parte della storia, perché nella storia ha voluto e saputo portare migliaia di uomini e donne che ne erano esclusi, ridotti a strumenti di scelte incomprensibili. È ciò che lo rende vivo a chi, negli anni della leggenda, non c’era.
Molti erano i giovani presenti in sala, molti quelli che Cino aveva voluto accanto a sé nelle varie attività dell’Istituto. Si è spesso parlato, negli ultimi anni, dell’esigenza di miti, di personaggi leggendari, da parte delle nuove generazioni; una tale affermazione contiene certamente un fondo di verità, ma è una verità meno banale di quanto possa apparire.
L’importanza della figura di Cino Moscatelli non è nel mito cristallizzato e fine a se stesso, ma risiede nel fatto che la leggenda del “Comandante” si fonda sulla vita di un uomo che ha saputo scegliere e condurre nel tempo questa sua scelta; che ha avuto il coraggio di voler capire, lottando e confrontandosi con la realtà, con ogni tipo di realtà; di un uomo che, pur conservando la propria umanità, ha saputo dare un senso alla propria esistenza. Forse è prima di tutto questo che i giovani cercano, e se questo fa di lui un personaggio leggendario non possiamo che ringraziarlo: è una leggenda che non teme la verità storica. Ha voluto un Istituto a tal fine: coerente anche in questo.
Nell’intervento che ha aperto la serata commemorativa il presidente dell’Istituto Elvo Tempia ha evidenziato la volontà di impostare una seria ricerca storica su Cino Moscatelli. Tempia, ha inoltre reso nota la decisione dell’Assemblea dei soci dell’Istituto di bandire un premio nazionale intitolato a Cino Moscatelli e patrocinato dal presidente della Repubblica Sandro Pertini.
La cerimonia è proseguita con la presentazione di un audiovisivo, realizzato dall’Istituto, che, presentando fotografie per la maggior parte inedite, ha inteso ripercorrere le tappe salienti della vita di Moscatelli rendendo conto della continuità e dell’evoluzione di cui si è detto.
In occasione del 1° anniversario della scomparsa è stato inoltre pubblicato il volumetto “Ricordo di Cino Moscatelli”. La pubblicazione, che contiene cenni sulla vita di Moscatelli corredati da fotografie, è incentrata soprattutto sulla giornata del 3 novembre 1981, data dei funerali. Sono riportati i discorsi commemorativi tenutisi durante la cerimonia a Borgosesia e a Novara il giorno successivo, e le immagini dell’imponente e commovente partecipazione popolare.
Subito dopo l’audiovisivo, ha preso la parola il prof. Guido Quazza, il quale ha esordito con alcune incisive considerazioni di carattere generale circa l’importanza di Cino Moscatelli nel quadro complessivo della storia italiana.
Come presidente dell’Istituto nazionale egli ha innanzitutto ricordato la fondazione dell’Istituto di Borgosesia e l’attività che Moscatelli svolse al suo interno, risalendo poi col ricordo al settembre 1943. A questo proposito Quazza ha sottolineato come, a pochissima distanza dall’8 settembre, la figura di Moscatelli fosse conosciuta dalla popolazione, e non soltanto da quella valsesiana, come esistesse un’immagine pubblica attraverso la quale il movimento partigiano che stava nascendo esercitava una vera e propria “psicologia di massa” sui nazifascisti, sugli attendisti, sulla popolazione stessa e sui giovani che pure avevano scelto la via della montagna.
Ricordando come Moscatelli venisse definito “il Garibaldi della Valsesia”, Guido Quazza è quindi entrato nel merito di questo accostamento fra il comandante partigiano e l’eroe per antonomasia della storia italiana. Dopo aver rilevato che, da un punto di vista storico è necessario procedere cautamente in accostamenti che si rivelano spesso scorretti, nonché mistificanti, Quazza ha affermato che, pur nell’estrema diversità, la grande fantasia nell’“inventare” i modi e le strategie dell’azione, il coraggio, la capacità di conservare la calma nei momenti più difficili e di operare con prontezza le scelte, siano elementi che accomunano i due personaggi.
Riferendosi specificatamente all’intuito politico eccezionale, che costituiva una caratteristica di Moscatelli, egli ha evidenziato come questo si realizzasse nella capacità di perseguire alleanze, prima ancora di essere legato alla consapevolezza teorica di un disegno politico preciso. Fin dall’8 settembre, infatti, Moscatelli avvertì l’esigenza di costruire un rapporto diretto sia con la popolazione sia con tutte le forze politiche e non politiche di ispirazione antifascista. In questo senso Cino seppe collegare i due aspetti principali della Resistenza italiana: l’aspetto di guerra di liberazione dall’esercito nazista e fascista e l’aspetto di liberazione dalla schiavitù sociale. Rifiutò le posizioni dogmatiche e indirizzò i propri sforzi verso l’acquisizione e l’organizzazione di quella dimensione reale della lotta al regime che era profondamente radicata nella coscienza popolare.
Un ulteriore, fondamentale, aspetto della figura di Moscatelli affrontato da Guido Quazza è stato quello relativo alla concezione della guerriglia. Pur non avendo, presumibilmente, una formazione teorica complessiva in merito alla tradizione di guerriglia, Moscatelli seppe infatti “inventare” un tipo di guerriglia estremamente valido. Egli ebbe la coscienza di come il problema di questo particolare tipo di guerra non fosse soltanto, per quanto fondamentale, quello di ricercare il consenso della popolazione, ma fosse anche strettamente connesso all’organizzazione degli approvvigionamenti, della sanità, alla considerazione del morale delle formazioni.
La posizione di Moscatelli nei confronti della violenza è indissolubilmente collegata alla sua concezione della guerriglia e al suo intuito politico nel senso precedentemente esposto. Quazza ha infatti proseguito facendo rilevare come Moscatelli avesse piena coscienza della difficile problematica inerente al binomio storia-violenza, come fosse consapevole della scelta di quest’ultima non in se stessa, ma come ricorso doloroso, purtroppo necessario, indispensabile in determinati momenti storici; di come sapesse distinguere molto bene la violenza difensiva dalla violenza che è invece spietato atto di assassinio. Fu questa consapevolezza, fra le altre, a spingerlo verso gli interessi, le esigenze, i bisogni quotidiani della popolazione, fu la coscienza di aver dovuto operare una scelta estrema che non doveva però trasformarsi in arbitraria, ma doveva misurarsi con il giudizio della gente, con le sue reazioni.
Particolarmente significativo fu, come ha incisivamente esposto Quazza, il rapporto fra Moscatelli e le coscienze cattoliche, o comunque pacifiste, in merito a questo tema. Egli comprese quanto difficile fosse la scelta partigiana per persone educate al più rigido rifiuto della violenza; quanto fosse drammatico per chi aveva ideali di pace essere costretto ad azioni armate e violente. Moscatellli seppe, affiancato da bravissimi collaboratori, fra i quali il comandante Ciro (Eraldo Gastone), presente in sala, condurre pazientemente, con profondo rispetto verso le posizioni altrui, la propria azione di capo partigiano.
L’ultima parte dell’intervento di Guido Quazza si è imperniata sugli anni della vita di Moscatelli dedicati all’Istituto. Dalle parole di Quazza è emerso come questa importantissima iniziativa di Moscatelli non possa in nessun caso essere considerata come un “ritiro dalla scena”, ma come debba invece essere valutata in conseguenza della sua maturità, della sua prontezza e vivacità nel cogliere tutti gli stimoli che via via nascevano nella società italiana. Guido Quazza ha fatto rilevare il costante e intenso interessamento di Cino verso i giovani e la consapevolezza del pericolo gravissimo costituito dal distacco fra vecchie e nuove generazioni, poiché tale distacco ha come significato la perdita di ogni possibilità reale di rinnovamento del Paese.
Moscatelli riconosceva inoltre il contributo decisivo dato dalle donne alla lotta di liberazione e si rendeva conto di come il problema della condizione femminile rappresentasse, ancor più di quello giovanile, uno dei problemi fondamentali della società italiana. Non a caso, ha ribadito Quazza, l’Istituto di Borgosesia ha affrontato espressamente lo studio della componente femminile sia nella Resistenza sia nel più ampio contesto della storia locale.
Concludendo, Quazza si è soffermato ad approfondire le ragioni che avevano condotto Moscatelli a scegliere Borgosesia come sede dell’Istituto provinciale e ha fatto rilevare come egli fosse consapevole del fatto che nella realtà italiana, che non è soltanto costituita da grandi città, ma anche e soprattutto da piccoli centri, i fatti della Resistenza vanno strettamente legati ai gravi e pesanti problemi dell’esistenza quotidiana, del fatto che la Resistenza può costituire un vero e proprio fermento solo se calata profondamente nei problemi reali della gente. Ciò aveva maggiori possibilità di realizzarsi in un ambito dove i rapporti umani, il tessuto sociale, il rapporto fra politica, economia e società sono a misura d’uomo, dove il rischio di chiudersi f r a le dorate mura della cultura è meno elevato.
L’on. Gian Carlo Pajetta ha preso la parola esprimendo il suo profondo rammarico per l’assenza, dovuta a ragioni di salute, in occasione dei funerali di Moscatelli e sottolineando, non senza una contenuta commozione, l’amicizia che li unì fin dai tempi della Resistenza.
Pajetta ha quindi analizzato la dimensione leggendaria del personaggio Moscatelli chiedendosi innanzitutto le ragioni per cui, in determinati momenti storici, un uomo diventi mito e, in senso più ampio, che senso e che dimensione assuma la leggenda in rapporto alla storia. «È una dimensione – ha affermato – che non può essere rimandata soltanto al caso, all’emozione, agli affetti, è una spiegazione che ha una sua profonda razionalità, razionalità che vale in modo particolare quando si tratta di collegare un momento particolare (e gli anni di cui stiamo parlando lo erano), una zona specifica (Valsesia, vai d’Ossola, e Cusio), un uomo e altri uomini, agli eventi storici del nostro Paese. Furono innanzitutto gli anni che rinnovarono l’Italia e se questa Italia, così come è, ancora non ci piace, se vogliamo ancora cambiarla, e possiamo dire di volerla cambiare: significa che realmente si è riusciti a renderla diversa da quella che era».
In questo senso Pajetta ha sostenuto il valore storico della leggenda inserendolo nello specifico contesto della guerra di popolo, letta anche in termini di fiducia reciproca da parte della popolazione e di coloro che, uomini e ragazzi, condussero una lotta difficile, in molti casi apparentemente folle. Cino Moscatelli fu uno di coloro che operarono una scelta di lotta da molti considerata impossibile e seppe condurla con coraggio.
Gian Carlo Pajetta ha ricordato come, nella provincia di Ravenna, Moscatelli sia riuscito a creare una Federazione giovanile comunista che contava seicento iscritti; come abbia sopportato il carcere con la forza dei propri ideali; come ne abbia mantenuta la certezza, unitamente alla fiducia nella gente di queste valli.
Pajetta ha sottolineato, inoltre, il significato della decisione di salire al Monte Briasco per dare vita alla guerra partigiana, decisione presa fra l’incomprensione di molti: «Ma perché volete far questo, cos’è il Briasco quando armate intere si affrontano a Montecassino, perché combattere se altri stanno avanzando, perché non attenderli con pazienza, facendo magari il doppio gioco…». Riferendosi alle doti di fantasia, proprie di Moscatelli, e riprendendo le considerazioni fatte dal prof. Quazza, Pajetta ha ribadito come, in realtà, l’intera guerra di popolo sia anche fantasia, capacità inventiva e, a questo proposito, ha ricordato un episodio particolarmente significativo relativo al primo tentativo di distruggere la formazione partigiana del Briasco «quando i fascisti della “Tagliamento” salirono da Vercelli. Erano dei poveracci, i resti di un’armata battuta, dei disperati, ma pensavano di trovarci più poveracci e più disperati di loro; avevano paga sicura e automezzi che li trasportavano: avevano l’ordine di spazzare la Valsesia e intendevano farlo. Ebbene, quei fascisti furono prima contrastati, poi battuti, addirittura dispersi. Ricordo il primo comunicato di Moscatelli che lessi con grande ammirazione, persino con invidia e, al tempo stesso, con quel tanto di ironia che mi faceva pensare di essere arrivati all’impudenza. C’era stato questo tentativo di rastrellamento, era fallito, e Moscatelli faceva un comunicato nel quale non solo annunciava la vittoria, la disfatta di quelli che, con mezzi blindati e camion, avevano cercato di risalire la valle ma, parlando dei numerosi prigionieri già catturati diceva: “Non diamo le cifre perché il rastrellamento continua”. Aveva inventato il rastrellamento a rovescio!».
Pajetta ha proseguito citando altri significativi episodi della vita partigiana di Moscatelli, riconoscendo in lui «un uomo fatto per stimolare, per incoraggiare», un uomo la cui Resistenza iniziò ben prima dell’8 settembre e durò fino all’ultimo giorno della sua vita. Ha ribadito nuovamente come il coraggio, la passione, la ferma coerenza nei propri ideali non abbiano impedito a Moscatelli di guardarsi intorno, di comprendere gli altri e ha riaffermato il valore dell’apertura verso le posizioni altrui, l’importanza dello sforzo di comprendere anche coloro che rappresentano la controparte diretta. Pajetta ha quindi concluso ricordando tutti coloro che si impegnarono nella lotta di liberazione e sacrificarono la loro vita a questa scelta.