Laura Manione (a cura di)
articolo pubblicato ne “l’impegno”, a. XXX, n. s., n. 2, dicembre 2010
Negli anni sessanta l’agenzia Fotocronisti Baita era una realtà ben radicata sul territorio. Inaugurata nel 1945 da Luciano Giachetti e dal cugino Adriano Ferraris, il quale ruppe il sodalizio professionale tre anni dopo, aveva saputo conquistarsi spazio e credibilità fino a diventare punto di riferimento per il pubblico vercellese, nonché vera e propria “palestra” per tanti giovani affascinati dal linguaggio fotografico. Il desiderio di raccontare la società attraverso le immagini si concretizzava tanto nei servizi di cronaca, quanto nei reportages su tematiche non forzatamente suggerite da fatti straordinari.
Il lavoro rientra indubbiamente tra i soggetti più visitati da Giachetti e collaboratori: considerata la cospicua quantità delle riprese eseguite, si potrebbe sensatamente ipotizzare che i fotografi vercellesi – almeno nelle fasi iniziali della loro attività – coltivassero l’intenzione di condurre un vero e proprio censimento delle varie professioni consolidatesi o sviluppatesi dal secondo dopoguerra. Non è infatti un caso che, fra i contenitori originali in cui sono tuttora organizzati i negativi, quelli recanti la denominazione “Mestieri” conservino un numero di scatti maggiore rispetto ad altri; a questi debbono essere affiancate immagini provenienti da raccoglitori diversi, spesso riservati “monograficamente” a ditte o fabbriche, a comuni vari e all’agricoltura. Non solo: se si analizzano i positivi stampati dall’autore per fini espositivi, si rintracciano percorsi pensati intorno a questo argomento e già suddivisi in capitoli dedicati all’artigianato, all’industria o alla progressiva meccanizzazione dell’ambiente rurale; alla consistenza numerica delle immagini si somma dunque una sistematicità nell’approccio a questo genere di riprese, negata invece ad altro tipo di materiali.
Occorre poi accennare, in forma di avvertenza allo spettatore, al fatto che la fotografia è lavoro essa stessa; Luciano Giachetti ne fece una professione per ben cinquant’anni. Ogni immagine è quindi prodotto che descrive altre produzioni, creando una sorta di costruzione en abyme che ne rende più complessa – ma senza dubbio più affascinante – la lettura.
In seguito a queste rapide premesse, risultano perciò evidenti le ragioni per cui l’Archivio abbia affidato a questo tema l’incipit di una rassegna di mostre e volumi sugli anni sessanta. Restano tuttavia da esporre alcune valutazioni, inerenti al decennio indagato e nuovamente ancorate al modus operandi dei Fotocronisti Baita. Più volte, nell’introdurre eventi promossi dall’Archivio, è stato sottolineato come la quantità di immagini realizzate dai professionisti vercellesi conosca il suo picco tra il 1945 e il 1955 per poi andare progressivamente e drasticamente ad assottigliarsi. Una diminuzione da imputarsi a vari fattori, primo fra tutti il passaggio dalla pellicola in rullo 35mm, più congeniale alla sequenza, al medio e grande formato, affine invece allo scatto singolo. Non deve essere trascurato inoltre l’affievolimento della passione ideologica e civile di Giachetti – negli anni sessanta verosimilmente assorbita da necessità commerciali mirate alla sopravvivenza dell’agenzia – ispiratrice, in passato, di interi servizi incentrati sulle fasce di lavoratori più deboli e sulle loro proteste.
Più azzardato sarebbe tentare di attribuire motivazioni differenti a questo decremento, identificandole con mutazioni di urgenze espressive scaturite dal dibattito critico-fotografico in atto nel Paese: per i Fotocronisti Baita la fotografia era stata concepita e continuava a essere un mestiere, influenzabile più da innovazioni tecnologiche che da esigenze estetico-linguistiche. All’impoverimento degli scatti corrispondono inevitabilmente assenze pesanti, incompletezze o comunque sbilanciamenti che rendono scivoloso il terreno su cui condurre la ricostruzione attendibile di un particolare contesto. Non vi è ad esempio, per probabile disparità di committenze, una corrispondenza numerica – quindi un’eguale attribuzione di importanza – tra le immagini di fabbrica o artigianato e quelle di commercio o ristorazione; allo stesso modo risulta troppo esiguo il gruppo di scatti riservati a figure professionali – in quel tempo sovente sinonimo di riscatto sociale – quali l’impiegato o l’insegnante. Infine, non appare risolta con perizia la trattazione della crisi economica che coinvolse il Vercellese già a partire dal 1964 con le agitazioni degli agricoltori.
Ciò non significa che le fotografie disponibili siano in qualche maniera discutibili o insufficienti. Intanto, da un punto di vista squisitamente tecnico, rivelano qualità formali migliori rispetto al passato, dovute a maturazione professionale e maggiore consapevolezza nell’uso delle apparecchiature. In secondo luogo, nonostante Giachetti e collaboratori sondassero con insistenze impari i vari ambienti di lavoro, l’eterogeneità dei soggetti fotografati permette comunque di fornire al pubblico una rilevazione affidabile delle attività esistenti in città nel periodo del boom economico.
Meno complete, ma ugualmente interessanti e ineludibili ai fini dell’esposizione, anche le immagini scattate in varie località del Vercellese: riprese spesso occasionali, che però dimostrano quanto lo sguardo vigile dei Fotocronisti Baita sul mondo del lavoro non fosse circoscritto al solo contesto cittadino.
Nell’insieme i materiali presentati nelle varie sezioni offrono un buon esempio di fotografia e si attestano tra le fonti privilegiate per lo studio della storia contemporanea, della società e del territorio; il loro valore non diminuisce neppure quando entrano in contraddizione o tradiscono debolezze. Sono e restano una “generosa” opportunità di approfondimento, riflessione e discussione; in sostanza, un ottimo pretesto per fare cultura.
Per tutte le fotografie di Luciano Giachetti – Fotocronisti Baita © Archivio fotografico Luciano Giachetti – Fotocronisti Baita (Vercelli). Riproduzione vietata.