Amicizie resistenti. Anna Marengo e Mimma Bonardo

Monica Schettino

intervento al convegno  “Resistenza Resistenze”, organizzato a Vercelli nell’occasione delle celebrazioni per il 70o anniversario della Liberazione

articolo pubblicato ne “l’impegno”, a. XXXV, n. s., n. 1, giugno 2015

 

Spesso accade che i fili della storia si intreccino in maniera casuale.

Eugenio Montale nei suoi versi scriveva che «la storia non si snoda come una catena di anelli ininterrotta»[1] perché a volte qualche anello “non tiene” e non esistono tra gli eventi nessi inequivocabili di causa-effetto.

Allo stesso modo l’amicizia tra Anna Marengo e Mimma Bonardo potrebbe essere raccontata come uno degli incontri che il caso «non ha voluto cancellare»[2] affinché giungesse, oggi, fino a noi. Forse proprio perché in questo “noi” si intrecciano tantissime altre storie, comprese quelle con la “S” maiuscola: l’antifascismo, la Resistenza, la Liberazione e l’Italia del dopoguerra.

Fino a comprendere la sottoscritta e il motivo del mio intervento.

In effetti, potrei raccontare che, grazie all’amicizia di Sabrina Contini archivista e collaboratrice dell’Istituto di Varallo, è iniziata la mia ricerca sulla figura di Anna Marengo e sulle sue memorie, oggi raccolte nel volume “Una storia non ancora finita”, e che la prima testimone ad avermi messo in contatto con il ricordo di Fiamma è stata proprio Mimma in un pomeriggio del febbraio 2011. Una storia che si può raccontare, dunque, come in uno specchio in cui le esperienze, le amicizie e le vite si intrecciano e si inseguono nel corso degli anni, riflettendosi l’una nell’altra.

Il suo inizio può essere collocato alla fine del 1943, tra i gruppi antifascisti vercellesi e, soprattutto, tra quelle donne che dopo l’8 settembre confluirono nei Gruppi di difesa della donna.

Ce lo racconta Anna Marengo nelle sue memorie: «Io facevo parte del gruppetto dirigente dei Gruppi di difesa della donna e dei Volontari della Libertà. Secondo le direttive, dovevo coordinare le cose, ma non espormi perché ero responsabile. Facevano parte del gruppo responsabile la Mimma Bonardo e la Maria Scarparo»[3].

Invece Mimma, nelle sue testimonianze, ci ha ricordato la maniera in cui nacque il nucleo iniziale del gruppo vercellese e il ruolo che, con Guido Sola Titetto, ebbe lei stessa: «Avevo già anche preso contatti con la dottoressa Anna Marengo, che lavorava nel reparto di ostetricia dell’ospedale di Vercelli, e avevo già conosciuto Giovanna Michelone.

Il gruppetto formato dalle donne dell’organizzazione clandestina era piuttosto sparuto, però bisogna anche dire che non ci conoscevamo tutte: era una precauzione, una forma di prudenza; così, se una cadeva nella rete, non sapendo tutti i nomi non li poteva neanche dire.

Comunque, tornando all’incarico affidatomi da Sola Titetto, sono andata a Torino e ho preso contatti con questa donna dei Gruppi di difesa: quando sono tornata ero entusiasta perché avevo fatto anch’io qualcosa contro il fascismo»[4].

Venne quindi il momento di intervenire, di organizzare il primo sciopero e l’occasione non mancò.

È ancora Mimma a raccontare: «Al rientro in ufficio ho trovato una mia collega che piangeva e diceva di aver visto prendere dei renitenti alla leva e di aver sentito che li avrebbero portati prima in Prefettura e poi dietro al cimitero per fucilarli. Allora io, fresca di quello che avevo appena sentito a Torino, ho risposto che si doveva fare sciopero. Mio padre lavorava alla Setvis, alla Sambonet conoscevo Maria Scarparo e conoscevo anche qualcuno alla Faini: qualcosa era possibile fare. Si è deciso che tutte le donne sarebbero uscite a manifestare perché non volevamo che quei ragazzi fossero fucilati»[5].

Su questo episodio, che definirei fondante per la storia delle antifasciste vercellesi, anche Anna Marengo concentra la sua attenzione regalandoci, inoltre, un bel ritratto della stessa Mimma: «Un giorno venne da me la Mimma tutta agitata: era una bella ragazza, fresca come una sorgente di acqua pura, colla vita sottile e i seni ripidi e il tono più mansueto e naturale del mondo. “È successo qualcosa di grave  mi disse cogli occhi sgranati  hanno arrestato alcuni ragazzi, renitenti al servizio militare ed oggi li faranno sfilare per la città, prima di fucilarli, collo scopo di dare una lezione alla popolazione. Cosa possiamo fare?”.

Davvero, che cosa si sarebbe potuto fare? Decidemmo di mettere insieme un gruppetto di donne “casalinghe” dei Gruppi di Difesa per organizzare uno sciopero delle operaie di alcune fabbriche dove si avevano già contatti clandestini. A parlare sembrava una cosa fattibile. Infatti dalla Setvis, dalla Roj, dalla Faini e dalla Sambonet uscirono tutte le operaie che, in massa, si recarono in prefettura.

Una delegazione è stata ricevuta dal prefetto che ha assicurato che i “ribelli” (così loro chiamavano i partigiani o renitenti alla leva) non sarebbero stati fucilati: e così fu.

È stato quello il primo sciopero delle donne di Vercelli, ed eravamo nel maggio del 1944»[6].

Entrambe presenti al primo sciopero delle donne vercellesi, le due amiche furono inoltre unite dall’esperienza del carcere  da cui la Marengo uscì dopo un’assoluzione del Tribunale speciale di Torino, mentre Mimma grazie a un’operazione all’appendicite organizzata ad hoc  e poi, naturalmente, dalla Resistenza. Ma non smisero di raccontarsi e di incontrarsi anche nel dopoguerra, quando Anna lasciò l’Italia per seguire il marito Janos Beck in Ungheria: si rividero così  dopo molti anni  anche a Budapest e, in uno dei suoi ricordi più nitidi, Mimma descrive l’amica mentre, da lontano, la saluta sbracciandosi con forza prima che il suo aereo riparta per l’Italia.

In questi ultimi anni, oltre che un’attiva e determinata antifascista  nel senso più ampio del termine  Mimma Bonardo è stata così la custode delle memorie, delle cartoline, delle fotografie di Anna, della dottoressa Marengo, che il 25 aprile del ’45 sfilò per le strade di Vercelli con la divisa del Comando.

Ricordandole insieme, anche noi, oggi faremo in modo che questa storia non sia ancora finita, anche ora che Fiamma si è spenta, nel luglio del 2007.


Note

[1] La poesia La storia è inclusa nella raccolta Satura (1962-1970), pubblicata per la prima volta a Milano, da Mondadori, nel 1971.

[2] Cito liberamente un famoso verso di Stéphane Mallarmé del 1897: «Un coup de dés jamais n’abolirà le hasard».

[3] Cfr. Monica Schettino (a cura di),Una storia non ancora finita. Memorie di Anna Marengo, Varallo, Isrsc Bi-Vc, 2014, p. 65.

[4] La testimonianza è contenuta nel saggio Gladys Motta (a cura di), Esperienze resistenziali femminili a Vercelli. Appunti per una ricerca, in “l’impegno”, a. V, n. 3, settembre 1985.

[5] Ibidem.

[6] Cfr.  Monica Schettino (a cura di), op. cit., pp. 65-66.

 

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