Enrico Pagano
articolo pubblicato ne “l’impegno”, a. XVI, n. 2, agosto 1996
Alla prova del referendum istituzionale la provincia di Vercelli giunge dopo che tutto il suo territorio è stato protagonista e testimone degli eventi legati alla guerra di liberazione. Non c’è regione di pianura, collina o montagna che non abbia vissuto, pur con diversa intensità, il dramma dell’8 settembre, la crescita del ribellismo, la reazione dei nazifascisti, l’insurrezione e la ritirata tedesca.
All’indomani della conclusione della guerra il dibattito sull’idea del futuro coinvolge in maniera totalizzante non solo le forze politiche ricostituitesi, ma anche le comunità sulla cui esperienza quotidiana il vissuto della guerra ha infuso una volontà di partecipazione direttamente proporzionale alla consapevolezza della fondamentalità del momento. Ne è testimonianza l’alto livello di afflusso alle urne, superiore al 92 per cento, con una identità pressoché assoluta di percentuale degli uomini e delle donne[1].
Le tre regioni del territorio provinciale di allora contribuiscono con percentuali lievemente, ma significativamente, differenziate: nel Vercellese si riscontra la frequenza più elevata, con il 93,5 per cento, seguito dal Biellese con il 92,4 per cento e dalla Valsesia con l’89 per cento.
La regione dell’alta montagna valsesiana, con un corpo elettorale pari al 2,1 per cento di quello provinciale, risulta sensibilmente sotto la media, con la pur elevata percentuale dell’82,5 per cento, mentre il primato dell’affluenza spetta alla pianura risicola dell’alto Vercellese, che rappresenta circa il 4 per cento dell’elettorato provinciale, con il 95,2 per cento. Tutte le altre aree si collocano intorno al valore complessivo, anche se si può individuare la tendenza delle aree di montagna ad una partecipazione leggermente meno elevata, ma il dato, più che fornire una conferma della minor sensibilità partecipativa nelle aree culturalmente più chiuse ed economicamente più arretrate, sorprende al contrario per la capacità di richiamo del momento, mai più verificatasi a questi livelli.
L’eccezionale mobilitazione consente di analizzare un quadro ripulito degli interrogativi sulla veridicità rappresentativa del voto: gli elettori della provincia di Vercelli credono in massa alla necessità di esercitare il proprio diritto e dovere di voto, aldilà della già significativa capacità di mobilitazione che i partiti riescono a mettere in campo. Inoltre la percentuale delle schede bianche, considerata nella sua totalità, si ferma al 4,7 per cento e non è tale da aprire margini di incertezza nelle valutazioni globali dei risultati.
La fisionomia politica del territorio si è già delineata in occasione degli appuntamenti elettorali comunali di marzo e aprile, ma il voto per la Costituente riesce a puntualizzare più dettagliatamente gli orientamenti e consente un primo confronto con il voto referendario.
Chiamato ad esprimere una scelta precisa sul partito, l’elettorato provinciale opta prevalentemente per le sinistre, attribuendo al Psiup il 29,9 per cento e al Pci il 28,8 per cento, mentre la Dc ottiene la maggioranza relativa con il 31,4 per cento dei consensi, a riprova di una polarizzazione in atto che si innesta in termini inequivocabili sulla scelta istituzionale.
Le percentuali del voto favorevole alla repubblica sono leggibili, con approssimazione vicina alla realtà soprattutto nel Biellese e nel Vercellese (meno in Valsesia), come la somma delle opzioni nei confronti dei partiti dichiaratamente repubblicani, mentre gli elettori moderati di centro e di destra, i cui referenti partitici non hanno dato esplicite indicazioni di voto, scelgono la monarchia. Il dato è stato interpretato come la reazione democristiana al potere assediante delle sinistre nel Biellese, oppure come una controspinta compensativa dei moderati rispetto al nuovo, incarnato nella repubblica, ma soprattutto propugnato dalle sinistre, con l’effetto di un riequilibrio conservatore nel Vercellese[2].
In Valsesia, dove il dibattito politico è meno vivace, particolarmente nell’alta valle, il voto è vissuto in senso più istituzionale e il risultato non è una somma aritmetica politicamente predefinibile, considerati gli otto punti percentuali che separano la somma dei voti delle sinistre (46,2 per cento) dal valore con cui si afferma la repubblica (54,1 per cento): ne costituisce una spia significativa, anche se non tale da giustificare numericamente il travaso di voti da un blocco all’altro, il successo della repubblica in comuni quali Balmuccia, Cervatto e Scopa, isole repubblicane in un contesto decisamente monarchico, ma politicamente conformi alla caratterizzazione bianca dell’area.
Rispetto al contesto regionale la provincia di Vercelli, con il 61,7 per cento, si colloca al terzo posto, dopo le provincie di Novara (63,6 per cento) e Alessandria (61,8 per cento) e prima di quella di Torino (58,2 per cento) nella graduatoria dei suffragi repubblicani, mentre nelle provincie di Asti e Cuneo prevale la monarchia (il collegio Torino-Novara-Vercelli fa registrare complessivamente una media del 60 per cento).
Nel territorio della provincia sono leggibili tendenze e orientamenti riscontrabili in altre aree, accanto alle specificità rivelate da un’analisi più dettagliata. In linea di massima le zone a vocazione industriale prevalente, di pianura, montagna o collina, costituiscono i bacini di consenso più netto per la repubblica. Le aree agricole di pianura si caratterizzano soltanto lievemente in senso più monarchico e comunque non uniformemente: sono ben circoscrivibili sul territorio i sottoinsiemi in cui la devozione contadina alla tradizione e al conservatorismo si traduce nel voto alla monarchia. Nei due centri urbani di più ampie dimensioni lo scarto percentuale del voto risulta significativamente inferiore alla media, il che può essere almeno parzialmente interpretato come segnale del radicamento della monarchia nella mentalità urbana, soprattutto nel ceto proprietario nobiliare e nella alta borghesia industriale che sono presenti sia a Vercelli che a Biella. In effetti, mentre per il Biellese si prospettano contraddizioni tra gli orientamenti della città e del territorio, nel senso che il voto urbano è più conservatore, nella realtà del Vercellese il capoluogo ha storicamente un ruolo egemone sulla regione circostante che se da un lato ne accentua la specificità urbana, dall’altro riesce a permeare e modellare le tendenze anche in campo politico.
Analizzando i dati suddivisi per fasce altimetriche risulta confermata l’uniformità nell’orientamento istituzionale delle scelte, con qualche significativa variazione: infatti le regioni di montagna e di collina producono risultati pressoché identici, con una vittoria repubblicana rispettivamente pari al 62,8 per cento e al 62,6 per cento, mentre nelle regioni di pianura il dato si attesta al 60,3 per cento. Soltanto un’analisi più approfondita può evidenziare che alla base del risultato ci sono dinamiche non omogenee legate alle caratteristiche economiche, sociali e culturali di ciascuna area.
Il territorio provinciale risulta molto frazionato dal punto di vista amministrativo, suddividendosi, al giugno del ’46, in 163 comuni di cui 50 hanno meno di cinquecento elettori e solo 2 oltre diecimila. Proprio questi due insiemi fanno registrare risultati simili, con una vittoria repubblicana sotto la media provinciale approssimativamente di cinque e quattro punti percentuali (rispettivamente 56,4 per cento e 57,8 per cento). La curva del consenso per la repubblica cresce gradualmente se si considerano i comuni di maggiori dimensioni: risulta di poco inferiore alla media nei comuni fra i cinquecento e i mille elettori (60,6 per cento), sale al 62,1 per cento nei comuni fra i mille e i duemila elettori, raggiunge l’apice nei comuni fra i duemila e i tremila elettori (67,6 per cento), decresce nei comuni fra i tremila e i quattromila elettori (65,8 per cento) e gli altri sotto i diecimila (62,7 per cento), tornando poco al di sopra del punto di partenza nelle due realtà urbane considerate nell’insieme.
Oltre alla dimensione demografica incide significativamente sull’orientamento la distribuzione per settore di attività economica. Nei comuni che contano una percentuale di addetti all’agricoltura pari e superiore al 50 per cento della popolazione attiva, il consenso repubblicano è al 57,7 per cento ma cresce fino al 62,4 per cento se si prendono in considerazione i comuni con oltre l’80 per cento degli impiegati nel settore primario. L’equazione cultura contadina-conservatorismo è dunque impropria come criterio universale di analisi del voto. Laddove l’industria tiene occupato il 50 per cento e oltre della popolazione attiva, la repubblica si afferma con il 65,2 per cento dei voti validi, percentuale che cresce fino al 73,8 per cento considerando i comuni con oltre il 75 per cento di impiegati nell’industria e raggiunge il 74,3 per cento se si selezionano i comuni con oltre l’80 per cento di addetti al settore secondario. La cultura della fabbrica produce l’apertura alla novità istituzionale in termini più marcati rispetto alla cultura contadina, ma senza che si possa parlare di un dualismo di tendenze.
Un’ulteriore interessante analisi, prima di passare in rassegna le tre regioni in cui si divideva nel ’46 il territorio provinciale, riguarda l’insieme dei comuni in cui si afferma la monarchia : sono 36, distribuiti per la metà in Valsesia e per un terzo rispettivamente nel Biellese e nel Vercellese. In 19 casi sono comuni al di sotto dei cinquecento elettori, 9 fra i cinquecento e i mille, 6 fra i mille e i duemila, soltanto 2 oltre i duemila; 23 di essi appartengono alla regione di montagna, 7 alla regione di collina, 6 alla pianura. La loro popolazione è prevalentemente agricola, con il 65,6 per cento degli addetti, rispetto al 27,7 per cento di addetti all’industria. La percentuale complessiva di voti alla monarchia è piuttosto alta, il 54,2 per cento contro il 38 per cento dei voti alla repubblica e il 7,8 per cento di schede bianche e nulle, a testimonianza di una scelta netta. Il binomio cultura contadina-dimensione demografica
ridotta interagisce a determinare esiti di successo monarchico, anche se la sua valenza non è generale sulla variegata realtà provinciale: infatti, nei 127 comuni dove vince la repubblica la media di addetti all’agricoltura è comunque superiore al 50 per cento a fronte del 38 per cento di impiegati nel settore industriale.
Il voto nel Vercellese
I votanti nel Vercellese rappresentano il 43,2 per cento del totale provinciale, distribuiti in 55 comuni. La repubblica vince nella quasi totalità di essi, con un dato percentuale globale pari al 58,1 per cento. I comuni monarchici sono 9, distribuiti in quattro subaree che presentano una preponderanza repubblicana più sensibile nella pianura risicola del medio e basso Vercellese, di dimensioni più attenuate nella pianura delle baraggie e nelle colline moreniche, di poche manciate di voti nella zona delle colline prealpine. Nel capoluogo, in cui vota un quarto degli elettori, lo scarto è di poco inferiore al risultato globale dell’area, con il 57 per cento dei suffragi alla repubblica. L’affermazione monarchica non è isolata nel caso di Alice Castello, se si considera che si registra un esito analogo anche nei comuni biellesi limitrofi di Roppolo e Viverone da un lato, mentre a Cigliano, Moncrivello, Borgo d’Ale, Livorno Ferraris e Saluggia l’affermazione repubblicana è più stentata della media provinciale. È possibile individuare un sottoinsieme monarchico territorialmente coerente lungo l’asse della carrozzabile che collega la Valsesia con il capoluogo provinciale nei comuni di Ghislarengo, Greggio, Arborio, con l’appendice di Buronzo, ma il sottoinsieme può allargarsi a comprendere anche Rovasenda e San Giacomo, dove l’affermazione repubblicana è piuttosto risicata; un’altra isola monarchica si colloca nel territorio collinare tra Roasio e Lozzolo, mentre nella pianura del medio e basso
Vercellese risultano in controtendenza i comuni di Villata e di Caresana.
All’opposto il voto si caratterizza più nettamente in senso repubblicano lungo l’asse Santhià-Vercelli, con percentuali superiori al 70 per cento a San Germano, Salasco e Sali. La caratterizzazione socio-economica del Vercellese è prevalentemente agricola ma questo non comporta un’omologazione di comportamenti elettorali: tra i fattori che possono aver inciso sulla diversità di tendenze in un’area omogenea si possono annoverare la tradizione delle lotte agrarie prefasciste, che non riguarda tutto il territorio, l’organizzazione cooperativistica rossa, non radicata in tutti i comuni della pianura, oltre alle presenze industriali e, come nel caso di Santhià, la presenza della ferrovia con le sue implicazioni economiche di trasformazione rispetto all’antico assetto agricolo e commerciale. Anche per quanto riguarda l’esperienza resistenziale si rivela una partecipazione ineguale ed un atteggiamento differenziato, dove
si può leggere, tra l’altro, come afferma Gianni Perona, la traccia di “una cultura contadina che interpreta la resistenza al fascismo nella forma classica e tradizionale della resistenza allo Stato” e che non si riconosce “nella ipotesi della lotta armata in formazioni militari irregolari”, sottraendo il proprio apporto alla guerra fascista senza aderire al fronte partigiano[13.
Il voto nel Biellese
Nel Biellese si concentra il 46,7 per cento dei votanti distribuiti in 81 comuni. L’affermazione della repubblica è più netta e raggiunge il 66,7 per cento, cinque punti in più rispetto alla media provinciale.
I comuni monarchici sono soltanto 9: oltre a Roppolo e Viverone, di cui si è già detto, si schiera per la monarchia tutta l’alta valle del Cervo (Piedicavallo, Rosazza, Campiglia Cervo, Quittengo e San Paolo Cervo), Selve Marcone, che rappresenta un’isola in un contesto nettamente orientato a favore della repubblica, e Muzzano, dove la monarchia vince di un soffio, così come nella vicina Graglia capita alla repubblica: anche nel caso dell’alta valle dell’Elvo si delinea un esito più incerto del voto, considerando che a Sordevolo i consensi monarchici superano il 40 per cento. Il resto del territorio non fa registrare situazioni incerte se non a Brusnengo, a sottolineare la caratterizzazione già individuata per i comuni limitrofi di Roasio e Lozzolo (e occorre tenere in considerazione anche il fatto che anche a Masserano la monarchia supera il 40 per cento), e Gifflenga, in prossimità dell’enclave monarchica che ha Buronzo come uno dei capisaldi. Tra le microregioni del territorio, solamente nella pianura della Baraggia biellese lo scarto tende ad attenuarsi, mentre la media montagna valsesserina e l’altopiano morenico biellese fanno registrare affermazioni repubblicane con percentuali superiori al 70 per cento. Un discorso a parte merita Biella-città che si colloca tra i pochi comuni in cui il voto monarchico supera il 40 per cento (oltre a quelli ricordati, Bioglio e Massazza).
Dunque nel Biellese la vittoria repubblicana è straripante, ove si eccettui una zona montana marginale ed economicamente arcaica come l’alta valle del Cervo, dove si registrano analogie socio-culturali con l’alta Valsesia. Contribuisce al risultato senza dubbio la radicata presenza dei partiti della sinistra e la connotazione economica prevalentemente industriale, insieme ad una fortissima tensione innovativa che è l’effetto dell’esperienza resistenziale vissuta in tutta la regione con intensità e partecipazione e sentita come espressione della comunità. È significativo a questo proposito che nel comune di Sala Biellese, sede del Comando di zona partigiano e teatro di uno degli episodi più eclatanti della guerra, la percentuale di voti per la repubblica raggiunga l’89 per cento e i consensi monarchici siano inferiori al totale dei voti nulli e delle schede bianche.
Il voto in Valsesia
L’elettorato valsesiano rappresenta il 10,1 per cento dei votanti e si distribuisce in 27 comuni di alta e media montagna e di collina. La repubblica vince in 9 di essi: Balmuccia, Borgosesia, Breia, Cellio, Cervatto, Quarona, Scopa, Serravalle, Valduggia. A parte i tre comuni dell’alta valle già menzionati, la prevalenza della monarchia ha contorni territoriali molto netti, che rispondono ad antiche distinzioni operanti fin dall’epoca della dominazione milanese fra l’Alta e la Bassa Corte, imperniate sui due comuni principali, Varallo e Borgosesia.
Le due subaree hanno caratteristiche culturali e vocazioni economiche diversificate: nell’alta valle non ci sono tracce di industrializzazione, prevale la subcultura tipica dei gruppi chiusi con una fortissima emigrazione e un intenso senso dell’appartenenza locale; l’esperienza resistenziale, benché abbia coinvolto tutto il territorio, è stata vissuta come un fenomeno esterno (sono infatti quantitativamente ridottissimi gli apporti della popolazione locale al partigianato, se si esclude Varallo); il radicamento partitico è minimo, inversamente proporzionale al ruolo del clero e dei piccoli potentati locali, costituiti da gruppi familiari numerosi, spesso in lite tra loro ma unanimi nel respingere o nel rallentare le novità. La scelta democristiana e monarchica rappresenta una forma di difesa contro il cambiamento, con la garanzia del mantenimento dello statu quo fornita dal parroco e dalle gerarchie famigliari.
La bassa valle ha invece un impianto sociale ed economico più moderno e la sua caratterizzazione demografica risente degli effetti di un’immigrazione legata al primo sviluppo industriale; le sue comunità hanno avuto un ruolo più attivo nei recenti avvenimenti di guerra, la presenza dei partiti è consolidata, pur mantenendosi le difficoltà nel fare politica a causa delle ataviche tendenze localistiche.
In questo contesto Varallo rappresenta la sintesi delle caratteristiche della valle, con il suo notabilato conservatore e fedele alla tradizione cui fa riscontro una classe operaia rilevante da un punto di vista quantitativo, ma frazionata nelle proprie opzioni politiche, come risulterà più chiaramente dalla divisione del sindacato.
In alta valle, compresa Varallo, la monarchia conquista il 60,2 per cento dei suffragi, mentre il voto nel resto della valle, compresa Serravalle, premia la repubblica con il 56,6 per cento. Complessivamente l’affermazione della repubblica è meno netta rispetto alla media provinciale di circa sette punti, attestandosi al 54,1 per cento ed è dovuta all’elettorato dei comuni nei quali si forgia il primato relativo complessivo delle sinistre nelle votazioni per la Costituente, vale a dire Borgosesia, Quarona e Serravalle.
Note
[1] ⇑ I dati su cui è stato elaborato il presente articolo sono quelli del Ministero dell’Interno, depositati in microfilm
nell’archivio dell’ Istituto, integrati con un tabulato proveniente dall’archivio di gabinetto della Prefettura di Vercelli, messo gentilmente a disposizione dal dott. Maurizio Cassetti, direttore dell’Archivio di Stato di Vercelli. Segnalo, per correttezza scientifica, che dal confronto dei documenti messi a mia disposizione esistono lievi discordanze numeriche, non tali da produrre effetti sensibili sui valori percentuali. Nel caso del comune di Cavaglià, per ragioni di tempo, mi è stato possibile reperire soltanto il dato relativo ai voti validi. Tutte le altre informazioni derivano dall’VIII censimento generale della popolazione del 21 aprile 1936. I valori percentuali segnalati nel testo, ove non altrimenti indicato, si riferiscono ai voti validi espressi: di qui le difformità rispetto alla tabella dei comuni dove invece, salvo il caso di Cavaglià, sono calcolati sui votanti. Vi è ancora da aggiungere che oltre ai votanti iscritti nelle liste elettorali dei comuni depositano la propria scheda nelle urne 3.013 altri elettori esterni, in prevalenza militari. Se ne tenga conto nella lettura delle tabelle, nelle quali sono riportati i dati dei votanti iscritti e dei voti espressi dalla totalità degli elettori.
[2] ⇑ “l’impegno” ha pubblicato nel 1986 (a. VI), rispettivamente nei nn. 2, 3, 4, i seguenti studi sulle prime elezioni politiche e sul referendum del ’46: Claudio Dellavalle, 40 anni fa: le prime elezioni nel Biellese, pp. 2-10; Marco Reis, Le elezioni del 1946 nel Vercellese, pp. 2-9; Giovanni Franchi, Le elezioni del 1946 in Valsesia, pp. 8-13. A tali articoli si rinvia soprattutto per gli approfondimenti relativi alle campagne elettorali.
[3] ⇑ Si veda Gianni Perona, La provincia di Vercelli tra le due guerre. Problemi e prospettive di ricerca storica, in Aspetti della storia della provincia di Vercelli tra le due guerre mondiali, a cura di Patrizia Dongilli, Borgosesia, Isrsc Vc, 1993.