Pietro Ramella
articolo pubblicato ne “l’impegno”, a. XXXIII n. 1, giugno 2013
Quest’estate nelle Langhe, nel commentare il mio ultimo libro sulla guerra di Spagna con la mia vicina di casa, la prof.ssa Carla Olzer Miglioranzi, affrontammo la tragica vicenda dei volontari antifascisti deportati nei lager tedeschi. A proposito di deportazione, mi disse che sua madre custodiva un album di fotografie scattate da sua sorella Tea che, nel luglio 1945, come volontaria della Croce Rossa che curava l’organizzazione del Comitato assistenza rimpatriati, aveva partecipato all’accoglienza dei nostri connazionali che rientravano dalla Germania.
Quando incontrai la mamma, la signora Dolores Magni Olzer, mi feci raccontare la vicenda vissuta dalla sorella e soprattutto le feci premura per vedere il famoso album, che mi presentò alcuni giorni dopo. Dalle trentaquattro fotografie che componevano l’album mi è stato possibile ricostruire il giorno di permanenza a Bolzano per quanti erano in condizione di viaggiare, mentre gli ammalati e deperiti erano ricoverati in strutture ospedaliere.
Le fotografie documentano l’arrivo dei camion che portavano i rimpatriati dalla stazione al campo di Bolzano, in precedenza utilizzato dai tedeschi come base di transito per i campi di sterminio. Le immagini documentano la sosta, il ritiro dei buoni pasto e dei fogli di viaggio, la registrazione, le comunicazioni agli incaricati di notizie sui compagni di internamento, le informazioni da trasmettere alle famiglie e infine il sospirato rientro con i camion provenienti dalle varie province italiane del Nord o con le tradotte per quelli del Centro-Sud. Le foto ritraggono alcune strutture del tragico campo di Bolzano, come le baracche, i reticolati, il muro di cinta e alcuni edifici, ora del tutto scomparsi.
Danno inoltre modo di vedere come i rimpatriati siano in massima parte internati militari (Imi), ma non mancano i deportati, forse stranieri, e alcune donne, probabilmente sostenitrici della Resistenza. Interessante notare che gli Imi hanno mantenuto i loro copricapi: si notano bustine, cappelli da alpino e caschi coloniali, a dimostrazione di come soldati delle diverse armi siano stati deportati da Italia, Francia, Jugoslavia e Grecia.
Ho mantenuto per ogni foto la didascalia scritta dall’autrice dell’album.
Per un’esauriente informazione sull’argomento rimando all’ottimo saggio “Una memoria affossata: gli internati militari italiani 1943-1945. Il caso di Bolzano”, di Lorenzo Baratter, che ha approfondito con documenti dell’Archivio di Stato di Bolzano la vicenda del Comitato assistenza rimpatriati. La ricerca è stata sostenuta dal Circolo culturale Anpi di Bolzano per recuperare una storia quasi dimenticata, privilegiando la memoria resistenziale in senso “classico”. Quello degli Imi fu certamente un grandissimo sacrificio dal quale uscirono provati nel fisico e nella mente centinaia di migliaia di persone. Da ricordare che la mancata adesione alla Repubblica sociale italiana di oltre seicentomila soldati italiani diede una svolta ben precisa agli eventi bellici e cambiò senza alcun dubbio le sorti del conflitto.
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