È uscito il centosettesimo numero de “l’impegno”, rivista dell’Istituto, che contiene saggi di Giuseppe Della Torre, Angelo Fragonara, Mario Ogliaro, Marilena Vittone, Donato D’Urso, Piero Ambrosio, Elisa Malvestito, Federica Caniglia, Andrea Pozzetta, Alberto Magnani, David Ciscato.
Il numero si apre con un omaggio a Enzo Barbano, socio fondatore e presidente onorario dell’Istituto, attraverso i saggi di Giuseppe Della Torre e Angelo Fragonara, entrambi scaturiti dall’uscita del volume “Scritti e ricordi della Valsesia, sessant’anni di giornalismo”, che raccoglie oltre mezzo secolo di lavori dello storico varallese editi in varie testate giornalistiche e per la prima volta ospitati in un’unica pubblicazione. Della Torre si sofferma in particolare sulla varietà di interessi di Barbano, che spazia con competenza su un consistente numero di argomenti: dai beni culturali all’istruzione superiore, allo sviluppo tecnologico ed economico, alla Resistenza, alla storia politica, affrontati con un taglio critico capace di dare valore alla storia locale senza chiudersi nella dimensione localistica. Il saggio ripercorre tutta la produzione editoriale di Barbano, a partire dalla imprescindibile “Storia della Valsesia” del 1967. Di Fragonara è pubblicata l’orazione tenuta in occasione della presentazione del volume “Scritti e ricordi” tenutasi a Varallo l’11 settembre 2021, in cui viene messo particolarmente in evidenza, nella disamina degli scritti raccolti nel volume, accanto alla coinvolgente capacità di affabulazione e al brillante umorismo dello stile di Barbano, il suo rapporto “sentimentale” con i personaggi e le vicende del passato di Varallo e della Valsesia, di cui si fa portavoce e in cui riconosce la propria identità e la propria matrice culturale e morale, raccontando con orgoglio quanto la gente della valle seppe realizzare con la propria creatività e intraprendenza.
Mario Ogliaro, dalla consultazione di minutari notarili di alcuni paesi del Vercellese tra XVIII e XX secolo contenenti testamenti, atti di costituzione di doti, acquisti e vendite di immobili, ricava notizie relative alla prassi matrimoniale del periodo, ricostruendo i costumi coniugali e la loro evoluzione, nel lento percorso che ridefinisce i contorni del rapporto uomo-donna, improntati per lungo tempo alla preminenza del primo sulla seconda, e che solo a partire dagli anni sessanta del Novecento, con l’affermazione della libertà di scelta dei coniugi e quindi del vicendevole amore e non degli interessi delle famiglie di provenienza come struttura portante del legame matrimoniale, consentono il passaggio dalla famiglia moderna a quella contemporanea.
Marilena Vittone conclude la sua ricostruzione della vita della comunità di Crescentino in età napoleonica soffermandosi sugli aspetti economici e sociali, in particolare sulle innovazioni in agricoltura, settore dominante nell’economia vercellese, quali la modernizzazione nella produzione del riso e del mais, inseriti in un mercato più esteso con modalità di gestione capitalistica, sul rinnovamento della struttura economica con l’abolizione delle corporazioni, ma anche la proibizione di associazioni operaie e scioperi, tratteggiando un quadro contraddittorio in cui i vantaggi connessi agli interventi messi in campo in ambito economico e produttivo furono goduti esclusivamente dall’aristocrazia terriera e proprietaria, mentre le classi meno abbienti dei lavoratori della terra e dei salariati furono interessate da un ulteriore impoverimento.
Donato D’Urso, dopo un approfondimento sul sistema elettorale vigente nel nostro paese nella seconda metà dell’Ottocento, che riconosceva il diritto di voto a un ristretto numero di elettori maschi, ripercorre la biografia di Annibale Marazio, eletto deputato nelle elezioni suppletive svoltesi nel 1864 nel collegio di Santhià in seguito alla morte di Gustavo Cavour, fratello di Camillo. Marazio, che arrivava dal mondo del giornalismo, divenne un professionista della politica, venendo eletto alla Camera quasi ininterrottamente tra l’VIII e la XIX legislatura, e svolse incarichi di rilievo partecipando attivamente alle discussioni parlamentari, in particolare a quella sull’estensione del diritto di voto alle donne, in cui assunse il ruolo di relatore del disegno di legge che ne prevedeva la concessione.
Piero Ambrosio, proponendo nuove biografie di “sovversivi” emigrati elaborate, come di consueto, utilizzando la documentazione conservata nei fascicoli personali del Casellario politico centrale, conclude il racconto dei percorsi di vita di esponenti del movimento anarchico e di militanti socialisti e comunisti sorvegliati dallo Stato perché ritenuti pericolosi per l’ordine costituito.
Elisa Malvestito racconta la storia di Iside Viana, Giorgina Rossetti, Anna Pavignano, Francesca Corona ed Ergenite Gili, antifasciste biellesi detenute nel carcere di Perugia, protagoniste di una vicenda che rischia di essere offuscata dalla ricostruzione storica tradizionalmente “al maschile”, ma che al contrario merita un suo posto di rilievo nella memoria collettiva perché assurge a emblema dell’“antifascismo esistenziale” delle donne, fondamentale per la comprensione dell’antifascismo in generale, e consente inoltre di portare alla luce il tema, storico e sociologico al tempo stesso, della detenzione femminile in un contesto repressivo, che diventa una lente attraverso la quale è possibile indagare in modo più approfondito le modalità oppressive e di privazione dei diritti proprie del sistema carcerario.
Federica Caniglia si interroga sulle modalità di narrazione e di rappresentazione della Shoah, divenuta argomento di interesse e grande impatto sull’opinione pubblica, in particolare dopo la legge istitutiva del Giorno della Memoria; un passato a lungo relegato nell’oblio e nel silenzio dagli stessi testimoni, sia per un tentativo di rimozione di un’esperienza troppo dolorosa per essere ricordata, sia per l’inadeguatezza del linguaggio nel descrivere un orrore che rientra a pieno titolo nella categoria dell’indicibile. Analizzando la messa in scena dello sterminio degli ebrei compiuta da prodotti televisivi e cinematografici quali “Holocaust”, “La vita è bella” e “Hotel Meina”, Caniglia individua nello strumento del racconto per immagini, pur nella consapevolezza dei limiti del mezzo incline alla spettacolarizzazione, la strada da percorrere per diffondere la conoscenza della Shoah nel XXI secolo, a fronte della progressiva scomparsa dei testimoni diretti.
Andrea Pozzetta riflette sui diversi significati attribuiti nel tempo alla definizione di “repubblica partigiana” in relazione alla zona libera dell’Ossola, passando in rassegna le diverse interpretazioni messe in campo a posteriori nella rappresentazione di quell’esperienza e della sua eredità, dalla memoria resistenziale nelle varie occasioni celebrative e commemorative, a partire dal primo anniversario nel settembre del 1945 fino al rinnovato interesse negli anni sessanta; ne scaturisce un’interessante chiave di lettura della liberazione ossolana e delle speranze e progettualità che portò con sé, oltre che una visione dell’epoca in cui furono prodotte e dei suoi valori.
Alberto Magnani, a partire dalle lapidi posizionate nella piazza di Villapizzone, quartiere della periferia nord di Milano, recupera le storie personali di tre partigiani ventenni morti fucilati, di cui pochi ormai ricordano le vicende: Edoardo Rossi, del Gruppo patrioti “Ossola”, da cui si sarebbe in seguito originata la divisione “Valtoce”; Emilio Vecchia, combattente nella Resistenza in Liguria, e Carlo Gervasini, prima legato alla rete clandestina di “Giustizia e libertà”, poi partigiano nella brigata “Osella” in Valsesia.
David Ciscato, con un approccio attento tanto agli aspetti storico-sociali quanto a quelli tecnico-scientifici, ripercorre le tappe della campagna vaccinale contro la poliomielite in Italia, dal picco pandemico raggiunto nel 1958, anno dell’introduzione del vaccino Salk, all’impiego nel 1964 del vaccino Sabin, per arrivare poi all’obbligo vaccinale introdotto nel 1966, e si sofferma con particolare attenzione sul caso specifico della Valsesia, esempio virtuoso grazie all’intensa attività della sezione locale della Lega italiana per la lotta contro la poliomielite e al coinvolgimento attivo di privati che si spesero, tanto da un punto vista economico che organizzativo, per contrastare il virus, con particolare risalto per la figura dell’imprenditore e filantropo Valentino Milanaccio, il “papà dei poliomielitici”.
Segue il ricordo di chi ci ha lasciato in questi mesi: Paolo Ceola, collaboratore e caro amico dell’Istituto, e Carmen Fabbris, importante rappresentante della storia sindacale e politica biellese e piemontese.
Chiude il numero la consueta rubrica di recensioni e segnalazioni.